«Cosa rimane oggi di quell’esperienza? Anzitutto, rimane un metodo: per Sturzo occorreva formare le coscienze dei cattolici prima di entrare nel campo politico. Altrimenti, il potere avrebbe cooptato i cattolici non formati». Lo scrive padre Francesco Occhetta, scrittore de La Civiltà Cattolica, nella nota politica pubblicata nel numero di gennaio di Vita pastorale, anticipato al Sir, in cui ricorda l’esperienza di don Luigi Sturzo e del Ppi.

«Puntava sulla formazione delle élites per dare voce ai poveri, secondo l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa. Il popolarismo – a partire dall’arte della mediazione, dallo sviluppo costituzionale – era per Sturzo l’antidoto al populismo». Indicando i «punti di forza di quell’esperienza», il gesuita li ritrova nell’«essere un partito riformatore, non moderato o conservatore, ma interclassista e aconfessionale». «Non un “partito cattolico”, ma una forza politica di cattolici».

Volgendo lo sguardo a «un tempo politico in cui l’arroganza del potere sfida i diritti e i doveri riconosciuti dalla legge», p. Ochetta osserva «l’eredità del manifesto di Sturzo», che «permette al mondo cattolico di ritrovarsi insieme “in questa grave ora” per essere “uniti insieme” come voce dei deboli, garante dei diritti, coscienza critica della società di mercato e protagonista di un “umanesimo comunale” da cui selezionare una nuova classe dirigente per una nuova stagione politica».

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