di Sarah Numico

Ha compiuto vent’anni l’euro, lanciato come valuta per gli scambi finanziari il 1° gennaio 1999 in 11 Stati membri dell’Ue. Era il frutto di un lungo cammino di discussioni e negoziati che portarono, con la firma del trattato di Maastricht nel 1992, alla creazione del mercato unico europeo (1993), alla nascita dell’Istituto monetario europeo e della Banca centrale europea (1998). Dopo tre anni, nel 2002, le banconote e le monete iniziarono a circolare in 12 Paesi europei (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo a cui si era aggiunta nel frattempo la Grecia nel 2001). Oggi l’euro circola in 19 Paesi dell’Ue (si sono aggiunti nel frattempo Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Slovacchia e Slovenia), lo usano 340 milioni di europei, ma sono 60 i Paesi su scala globale che gravitano sull’euro, divenendo così la seconda valuta internazionale più importante dopo il dollaro.

Alla vigilia del compleanno, il quotidiano finanziario Bloomberg ha pubblicato i risultati di una serie di test economici per valutare i benefici in termini di stabilità, integrazione economica e competitività dei Paesi che hanno attraversato con l’euro la crisi economico-finanziaria. Non quindi una valutazione assoluta sulla prosperità e la salute economica dei Paesi e su come sarebbero stati senza l’euro. Ebbene,

Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Slovacchia e Slovenia sono i Paesi che grazie all’euro hanno saputo gestire meglio la crisi;

nella graduatoria viene poi un gruppo di Paesi (Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo) che grazie all’euro hanno ricostruito in modo soddisfacente la propria competitività, nonostante per alcuni la crisi sia stata devastante. Un terzo blocco di Paesi, formato da Francia, Italia e Spagna, insieme a Malta e Cipro, ha ottenuto risultati meno soddisfacenti, anche a motivo di “riforme strutturali insufficienti” e “mancanza di capacità fiscale”. Colpisce il dato che a difendere l’euro siano due “eurocittadini” su tre. L’ampio sostegno alla moneta unica è stato recentemente e più volte confermato dalle indagini di Eurobarometro.

Vent’anni non sono forse traguardo di maturità piena per nessuno, tanto meno per l’euro. La “giovane valuta”, come la definisce El Pais, “anche se inciampa, continua ad avanzare” in quella che secondo il quotidiano spagnolo è “la lotta per condividere la rilevanza finanziaria internazionale con il dollaro”. Pur non tacendo la “scarsità dei risultati positivi dell’euro”, la Spagna si ritiene “un Paese beneficiato dal progetto dell’euro” e sul piano europeo collega la lentezza dei progressi “anche alle difficoltà politiche per completare la struttura istituzionale dell’unione monetaria”, una lentezza politica che ricade sull’Unione dei mercati e dei capitali. Si tratta dei più volte vaticinati ministro unico del Tesoro, dell’Unione bancaria, di una politica fiscale comunitaria e di altri provvedimenti atti a rafforzare l’Uem (Unione economica e monetaria).

L’Irlanda festeggia questo compleanno con molti interrogativi; la scelta di aderire all’euro, mentre la Gran Bretagna decideva di starne fuori, era una “visione strategica” che la poneva al di fuori “dell’influenza coloniale” nella zona di influenza europea, ricorda l’Irish Times avviando oggi una serie di riflessioni su questo compleanno. Ora che il Regno Unito lascia l’Ue questa visione strategica è di nuovo oggetto di riflessione. “Venti anni dopo l’Irlanda è un Paese più ricco e molto più sviluppato e il processo di convergenza, misurato dagli indicatori economici tradizionali, è completo. Il nostro commercio con l’Europa è cresciuto fortemente e le imprese hanno guadagnato dalla facilità di commerciare con la stessa moneta”, si legge sul quotidiano irlandese. Ma non è stato un cammino “in linea retta”, ci sono state pesanti battute d’arresto e rimane la persistente “domanda chiave, a cui non potremo mai rispondere” di che cosa sarebbe successo “se non avessimo aderito all’euro”. Anche dall’Irlanda giunge l’osservazione secondo cui da quando è deflagrata la crisi del 2008, “la riforma della zona euro”, sempre più necessaria, fin qui è stata “più reazionaria che visionaria”.

“L’eurozona è come un fitness club, dove i membri si impegnano ad allenarsi regolarmente per mantenersi in forma a un livello comune. A differenza di un club privato, dove, se non si rispettano le regole, si rischia di essere cacciati, dall’euro, nessuno può essere invitato a uscire”, scriveva ieri il tedesco Die Welt,

per dire che “l’euro può funzionare solo se tutti aderiscono alle regole comuni e se gli Stati membri sono ragionevolmente ben bilanciati e crescono più o meno allo stesso ritmo”, pena la difficoltà di tenuta dell’intera casa (un riferimento indiretto ai Paesi meno virtuosi, fra cui l’Italia?). Invece, “troppo spesso, i governi degli Stati membri si comportano come adolescenti che ignorano in modo provocatorio le regole comuni e fanno sempre esattamente ciò che non dovrebbero: troppi debiti, risparmi non adeguati, riforme non sufficienti”. L’euro non sopravvivrà ad “altri vent’anni di tentennamenti” e di non rispetto delle regole, profetizza il giornale tedesco. Per fortuna dalla vicina Austria arriva una ventata di positività: “Nonostante il grande scetticismo iniziale, l’euro è ora sostanzialmente una storia di successo” che resisterà, scrive Oberösterreichische Nachrichten “anche se forse qualcuno lo lascerà”, e se comunque “serve una cooperazione maggiore e sanzioni per chi non rispetta le regole”.

“È forse la cosa più pazza che gli europei hanno costruito insieme. Anche la più utopica: rinunciare alle loro rispettive valute, simboli della loro identità nazionale, per fare moneta comune”, rifletteva il francese Le Monde cercando di tracciare un bilancio che è “delicato, persino impossibile, tanto il tema divide gli economisti”.

Quanto sia critico il futuro dell’eurozona, lo ha espresso chiaramente Mário Centeno, presidente dell’Eurogruppo: “Il futuro dell’euro è ancora in fase di scrittura, e questo ci impone una responsabilità storica”. Se ci sono state evoluzioni e sfide superate, sono necessari “continui sforzi di riforma nella buona e nella cattiva sorte”, nel senso del rafforzamento dell’Unione economica e monetaria per essere “preparati a ciò che il futuro potrebbe portare”. La volontà politica c’è, ha garantito Centeno, in consonanza con le dichiarazioni giunte proprio in questa occasione dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, dal presidente del Consiglio Donald Tusk e dal presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani.

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