di Gigliola Alfaro

Morire a sette anni per aver rotto la sponda di un letto, giocando. È successo, a Cardito, in provincia di Napoli, ma diocesi di Aversa, al piccolo Giuseppe, 7 anni, ucciso dal convivente della madre, Tony Sessoubti Badre, 24 anni, venditore ambulante, che ha picchiato con calci, pugni e persino il manico di una scopa il bambino e la sorellina di un anno più grande, ora ricoverata in ospedale. L’uomo, in carcere a Poggioreale, ha ammesso le sue colpe e il gip ha convalidato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio volontario aggravato da futili motivi e lesioni aggravate. Del dramma parliamo con il vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo.

Eccellenza, si può morire a sette anni per motivi così futili?

Sono drammi che ci lasciano senza parole,

perché non si pensa mai che un essere umano possa arrivare a perdere così il controllo di sé e a lasciarsi dominare dalla propria ira, da quella forma di affermazione di sé che passa per la prepotenza. È necessario incoraggiare tutti a fare una sapiente attenzione ai propri pensieri e alle proprie azioni per essere in grado di governare se stessi.

Domenica 3 febbraio la Chiesa italiana celebra la Giornata per la vita, ma un omicidio così brutale mostra quanto poco valore si dia oggi alla vita: un letto vale più di un bambino…

Purtroppo è così. Noi qui in diocesi, già da qualche anno, dedichiamo un’intera settimana alla vita, proprio perché sentiamo il bisogno di parlare della vita e di aiutare le persone a viverla con consapevolezza e a essere attenti ad accogliere la vita come il Vangelo: come diceva San Giovanni Paolo II, ogni vita è un lieto annuncio per tutto il cammino dell’umanità.
L’uccisione di questo bambino, così come altri episodi di violenza e di morte, stride terribilmente contro la verità della vita stessa.

Il bambino di Cardito spesso aveva lividi, ma nessuno si è mai preoccupato di questo. Quanto hanno pesato su questa tragedia l’indifferenza, la chiusura, l’omertà?

In certi ambienti le reazioni sono più scomposte, perché ci sono pochi mezzi per controllarle: dove non c’è una crescita umana, culturale, spirituale, a volte le reazioni sono più istintive e più primitive, più esplosive insomma. Viceversa,

abbiamo bisogno di crescere umanamente per imparare a governare i nostri atteggiamenti

e a fare in modo che anche un eventuale forma di correzione possa essere di aiuto alla crescita di piccoli e adulti.

Come si evita che la violenza dei grandi si abbatta sui bambini?

Occorre creare un tessuto di modi di pensare e di essere, un tessuto di verità, nel quale la sensibilità dell’umanità si vada affinando. A volte ci si commuove facilmente di fronte a un disagio e poi si rischia di diventare violenti nell’imporre se stessi. Questo va sicuramente corretto, educato.

Ci avviamo alla conclusione del decennio degli Orientamenti Cei “Educare alla vita buona del Vangelo”: quanto resta attuale questa sfida? E quanto è decisiva la questione per l’uomo di oggi?

Prima che per l’uomo, per i credenti di oggi è una questione fondamentale.
Questa sfida deve continuare a essere vissuta con consapevolezza, speranza, entusiasmo.

La fiducia di poter essere coloro che vivono una vita buona perché seguono il Vangelo deve essere riacquisita dai cristiani per trasmetterla, poi, con il loro agire, il loro essere presenti nella società. Questo è fondamentale ancora. Ci siamo sforzati negli ultimi anni, in diocesi, di mettere al centro il rapporto intenso tra le generazioni. La nostra guida è stato il Salmo 144, quando dice che una generazione narra all’altra il bene, le grandi opere di Dio, tutto ciò che è ricchezza di vita. Così ogni generazione vive con fiducia e con speranza. Perciò, è di grandissima attualità il tema educativo.

Nell’ultimo Consiglio permanente si è ribadito, infatti, l’impegno educativo della Chiesa proprio perché l’attuale contesto culturale è segnato da “un triste individualismo, da un realismo emotivo, da un secolarismo che non soddisfa”. Quanto questo clima che si respira in Italia incide su eventi luttuosi come quello di Cardito o su altri fatti di cronaca che denunciano una scarsa considerazione della dignità dell’altro?

Siamo figli di una società che è andata lentamente distaccandosi da un ideale trascendente, sia esso religioso o anche semplicemente laico.
Quando si perde di vista una meta che è più grande della propria soggettività, ciò che prevale è solo l’istinto soggettivo, che impedisce alla persona di vivere in dialogo con le altre persone e con la natura.

Come aiutare, allora, la gente a riappassionarsi alla “vita buona del Vangelo” oggi?

È importante la testimonianza che possono dare i cristiani,

per questo prima devono riscoprire la bellezza della loro fede e la bontà del loro vivere secondo la fede, mostrando che il vivere secondo la propria fede arricchisce la vita umana, non la depaupera, non la limita, ma, al contrario, la chiama a orizzonti tanto più ampi, più intensi, più ricchi. Ed è questo che come Chiesa e come cristiani siamo chiamati a sviluppare innanzitutto in noi stessi.

La Chiesa come può essere vicina ai piccoli maltrattati?

La Chiesa è sempre stata vicina ai bambini, anche se con i limiti di ogni esperienza umana. Inoltre, ha sempre avuto questa attenzione educativa: proprio qui in Campania alla fine dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento è stato un periodo in cui sono sorte tante istituzioni educative. Era un sistema certamente adatto all’epoca: era fondato sull’istruzione e sull’educazione morale della persona. Oggi facciamo più fatica perché si è molto ampliato il ventaglio dei progetti dell’educazione. Così anche con le nostre scuole cattoliche non riusciamo a reggere il passo.
Ma l’attenzione della Chiesa ai più piccoli deve essere un impegno serio che la Chiesa deve continuare a coltivare. A volte, come dice Papa Francesco, basterebbe essere meno burocratici anche nell’organizzazione del catechismo parrocchiale e nella vita degli oratori e cercare di essere veramente aperti all’accoglienza di tutti.
È possibile raggiungere anche le famiglie problematiche, come quella del piccolo di Cardito. Infatti, queste famiglie, proprio perché difficili, per tante ragioni vengono da noi a chiedere aiuto.

A noi tocca saper decifrare le loro richieste.

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