di Andrea Zaghi

Due diverse e inconciliabili visioni del mondo e, soprattutto, del futuro. Accade questo attorno al tema della realizzazione della nuova linea ferroviaria che dovrebbe unire Torino a Lione. Che ormai non è più quello che in realtà è – un semplice seppur tecnologicamente avanzato collegamento ferroviario -, ma è diventato motivo di profonde divisioni, moloch per alcuni, simbolo di progresso per altri. Non due binari che uniscono, ma che dividono due opposti approcci al progresso, distanti anni luce fra di loro e popolati da persone che non si capiscono le une con le altre.

Storia complessa, quella della strada ferrata che dovrebbe unire Italia e Francia attraverso le Alpi. Vicenda complicatissima dal punto di vista tecnico e politico, economico e sociale. Ma resa tale dal sovrapporsi di errori e superficialità d’approccio, così come da demagogie e strumentalizzazioni (da entrambe le parti) che ne hanno fatto uno degli esempi più noti al mondo dei mali italiani.

Torino-Lione: non una linea di treno che passa sotto le Alpi, ma una sorta di voragine che ingoia tutto. Ad iniziare dal buon senso. Addirittura il nome crea confusione. Non una ferrovia in grado di trasportare merci e persone, ma Tav al maschile se si intende un Treno ad alta velocità, Tav al femminile se si pensa ad una linea ferroviaria sempre ad alta velocità. Entrambe dizioni sbagliate. Lungo quella direttrice un treno ad alta velocità non ci passerà mai, visto che, tecnicamente, il collegamento dovrebbe essere quello di un Tac cioè di un Treno ad alta capacità di trasporto.

Ma al di là del nome, ciò che più conta è, adesso forse più di ieri, il confronto fra due orizzonti diversi di fronte all’opera. Un confronto paradossale perché, fra l’altro, ha la stessa base di partenza: l’ambiente e la sua conservazione.

Chi è contro la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, dice di esserlo perché la sua realizzazione rovinerà definitivamente una valle (quella di Susa), già tartassata dal punto di vista ambientale con due strade di grande percorrenza e un’autostrada; senza dire dei rischi determinati da cantieri lunghissimi e dalla presenza di rocce amiantifere nella montagna. Chi si oppone afferma anche che le risorse finanziarie da spendere nell’opera (comunque tante e troppe), potrebbero essere utilmente spese per altre opere più necessarie proprio alla conservazione dell’ambiente. E senza tenere conto del fatto che – visti i grandi progressi dell’economia e dei trasporti – presto le merci non viaggeranno più su strada e su ferro ma con droni e che comunque i grandi flussi di scambio hanno da tempo preso altre strade.

Chi, invece, vorrebbe la Torino-Lione realizzata presto e bene, muove dall’idea che le merci su strada siano ormai eccessive e che occorra trasferire il loro trasporto su ferrovia: questo farebbe bene proprio all’ambiente oltre che ai bilanci delle imprese e quindi all’occupazione e al progresso. Gli stessi, poi, guardano ai flussi di traffico, pensando che le merci e le persone viaggiano lungo i collegamenti più facili ed efficienti, ma che questi devono esistere per creare una domanda di traffico che altrimenti rimane nascosta e invisibile. Sempre chi è favorevole guarda poi alle nuove tecnologie come a strumenti per rendere i cantieri, la realizzazione delle grandi opere, gli investimenti infrastrutturali, la crescita dell’economia, più compatibili e attenti all’ambiente e al territorio. Circa l’ammontare delle spese da fare, queste sarebbero il minimo per consentire all’Italia di rimanere collegata all’Europa e al mondo.

Tutte e due le parti si dicono a favore di un ambiente migliore nel quale far crescere i propri figli, un ambiente dove le persone possano vivere meglio di oggi, con un livello di benessere più alto. Un’Italia più bella.

Ed è per un Paese più bello e vivibile che entrambe le parti in causa sono riuscite a riempiere le piazze.

Due visioni del mondo dunque, oppure una sola? Oppure ancora un gioco di ombre cinesi? Due miraggi diversi che sembrano fondersi e che invece di volta in volta cambiano a seconda della posizione di chi li osserva, della luce, dell’ora del giorno? Ciò che diverge sembra poi essere il percorso attraverso il quale raggiungere questo futuro agognato da tutti. Un futuro uguale eppure così diverso.

In mezzo c’è l’Italia. Che è fatta da quelle stesse persone che si ritrovano su barricate opposte e che non riescono a parlarsi. Vicini di casa che si guardano in cagnesco. Forse occorre ripartire proprio da questa condizione: da un Paese in affanno e da una capacità di dialogo che appare perduta e che deve essere ritrovata.

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