Il messaggio di S.Giovanni Paolo II ai giovani del nuovo millennio, si poteva riassumere nell’invito: «Non abbiate paura», e invitava a vivere un atteggiamento positivo e volitivo verso il futuro che stava arrivando. Il messaggio di papa Francesco, che emerge anche dalla recentissima Esortazione apostolica post-sinodale Christus Vivit, si potrebbe invece sintetizzare così: «Non lasciatevi rubare la speranza e la gioia!».

Il Papa «ha cercato di recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte [del Sinodo sui Giovani] che gli sembravano più significative» (CV 3) e con evidenza quelle che aiutavano i giovani a vivere in pienezza il loro tempo, soprattutto rafforzando la loro speranza e la loro gioia.

Cuore della “Christus vivit” è l’invito
a ogni giovane: «Cristo è il vivente
e ti invita a essere vivente»

Il segreto per vincere la paura e alimentare la speranza e la gioia di vivere, che ambedue i Papi presentano al mondo e ai giovani in particolare, è sempre lo stesso: il cuore dell’annuncio Cristiano, che cioè Cristo è vivo, è presente e opera nella storia per la nostra salvezza.

Papa Francesco lo ha messo nell’incipit stesso dell’Esortazione: «Cristo è vivo e ti vuole vivo»; oppure, come a un orecchio contemporaneo suona più intenso: Cristo è il vivente e ti invita a essere vivente. Il Papa a più riprese mette i giovani davanti al rischio di una realtà in cui potrebbero morire dentro, pur mantenendo un’apparenza superficiale di vita. Questo è il rischio per la generazione dei millennials, un rischio reale per tanti giovani che vediamo nelle nostre città, diventati un corpo unico con il loro smartphone, a cui affidano la sorgente dei loro pensieri e forse anche dei loro sogni. Mentre i giovani dovrebbero essere molto diversi; come dice il Papa: «un giovane non può essere scoraggiato, la sua caratteristica è sognare grandi cose, cercare orizzonti ampi, osare di più, aver voglia di conquistare il mondo, saper accettare proposte impegnative e voler dare il meglio di sé per costruire qualcosa di migliore» (CV 15).

Papa Francesco però, pur guardando con grande lucidità e senza alcuno sconto alla situazione giovanile odierna – come fa nei capitoli iniziali –, non cede mai al catastrofismo, oggi di moda. «Questi giovani possono volare», è il suo costante atto di fede in loro. E non sta parlando solo dei giovani cristiani, quelli che vediamo dentro le nostre parrocchie e oratori e ai quali è stata finora indirizzata la pastorale giovanile.

Se infatti Francesco si indirizza ogni tanto ai giovani cristiani, lo fa solo per inviarli come annunciatori e testimoni del messaggio del Vangelo a tutti i loro coetanei. Infatti il cambiamento pastorale, anzi la vera conversione pastorale che il Papa domanda oggi a tutta la Chiesa, è primariamente una conversione dello sguardo: smettere di fissare le giovani pecorelle rimaste dentro l’ovile, le cui file si assottigliano sempre di più, per guardare invece a tutte quelle che si affollano sui monti e nelle valli del nostro mondo globalizzato.

Lo stile di apertura, inclusivo, accogliente, che privilegia l’ascolto rispetto all’annuncio,
il discernimento rispetto al giudizio deve essere la modalità pastorale caratteristica del cristianesimo del nuovo millennio

Per papa Bergoglio la Chiesa deve lavorare per accogliere, accompagnare, aiutare a discernere il bene e così integrare nel popolo di Dio tutti i giovani del mondo. Si tratta di un percorso pastorale che ormai ben conosciamo – almeno in teoria – come caratteristico della proposta del Papa, ma sul quale è bene confrontarsi con chiarezza. È ormai evidente che questo nuovo stile di Chiesa non è determinato dalla paura di non avere più “clienti”, per cui si tentano delle “offerte speciali” di misericordia. Papa Francesco è invece convinto che questo stile di apertura, inclusivo, accogliente, che privilegia l’ascolto rispetto all’annuncio, il discernimento rispetto al giudizio, cioè lo stile che in questo documento è simboleggiato dal racconto di Emmaus, sia la modalità pastorale caratteristica del cristianesimo del nuovo millennio.

Dobbiamo però capire, per evitare equivoci pericolosi, che le parole di Bergoglio vengono da un vocabolario diverso dal nostro. Non si tratta solo di tradurre dall’argentino all’italiano, ma dalla Sua esperienza di Chiesa latino-americana, giovane, nata dall’accoglienza di tanti popoli, protesa al futuro, e carica di una grande voglia e gioia di vivere, rispetto alla nostra impaurita Chiesa occidentale, che cerca sicurezze nei propri confini e guarda nostalgica al passato.

La sue parole vanno capite di nuovo proprio su questo sfondo interpretativo. Perciò l’accogliere nasce dalla convinzione che chi giunge è portatore di valore e di bene. Accompagnare significa predisporsi a un lungo cammino, nel quale, senza fretta di arrivare, si sta fianco a fianco lungo positivi e rispettosi percorsi paralleli, dandosi a vicenda coraggio e sostegno. Discernere, secondo la grande tradizione gesuitica, è ricercare insieme la via più giusta che conduce al bene, senza che nessuno pretenda di avere già la verità in tasca. Infine integrare nel Popolo di Dio è forse per noi il concetto più complesso da comprendere, e il problema di comprensione non è tanto nel verbo, quanto nel nome. Infatti quando noi europei parliamo di “Popolo di Dio”, stiamo ancora pensando alla Cristianità, a una fede legata a una sola cultura, a una unica terra, in cui tutti erano cristiani. Tanto che lo stile di vita, l’economia, la stessa politica erano definite cristiane. La parola “Popolo” per Bergoglio, formato nella “Teologia del popolo” della Chiesa argentina, è intesa invece in maniera diversa. Il Papa ha detto più volte che per lui “popolo” è una categoria “mitica” (un concetto questo che all’inizio non aveva capito neppure l’Osservatore Romano, tanto da tradurlo con categoria “mistica”!).

Per il Papa il Popolo di Dio che è la Chiesa
è una realtà viva e cangiante, che cresce
e si unifica condividendo la memoria
del racconto comune del passato,
che ne determina l’identità

Non sto parlando di filosofia astrusa, ma di concetti basilari per capire il pensiero del pontefice da cui deriva la sua azione pastorale. Un Popolo, anche il Popolo di Dio che è la Chiesa, per Bergoglio è una realtà viva e cangiante, che cresce e si unifica condividendo la memoria di un racconto comune del suo passato, che ne determina l’identità. Per questo fa riferimento al concetto di “mito”. Per il Popolo di Dio questo racconto è la stessa Parola di Dio, come ribadisce l’Evangelii Gaudium e la storia di santità della Chiesa come ha insegnato più recentemente la Gaudete et exsultate.

Accade a questo popolo come a una famiglia, che mano a mano che vive insieme costruisce la sua storia e con essa la sua identità. Così ogni nuovo bambino che nasce, ogni nuova sposa o sposo che entrano in famiglia, si sente raccontare questa storia, che d’ora in poi sarà anche la loro storia, la chiave della loro identità. Ma è una storia che procederà d’ora in poi, anche con il loro contributo e dentro la quale si intreccia anche la loro storia passata. Per questo il Popolo di Dio è ben diverso da uno Stato, che nasce da una storia, ma anche da un “contratto scritto” come la nostra Costituzione Italiana, ha dei confini geografici che lo delimitano, una lingua che lo identifica, ed è perciò necessariamente più rigido nell’accogliere sia il cambiamento che i nuovi cittadini.

Considerare realmente la Chiesa
come popolo comporta di progettare
la pastorale, cioè il suo stile di vita
in maniera diversa

Forse in Europa abbiamo pensato la Chiesa, almeno fino al Concilio, più come uno Stato, una Nazione, che come un Popolo in cammino verso il Regno di Dio. Questo comporta progettare la pastorale, cioè lo stile di vita della Chiesa, in maniera diversa. In una nazione ad esempio le autorità statali, le leggi e le strutture valgono più delle persone, anche se si dichiarano al loro servizio. Nel Popolo di Dio, nella Chiesa, porre le autorità, le strutture e le norme più in alto del valore della vita e della fede del Popolo è proprio quell’errore che Papa Bergoglio chiama “clericalismo”.

La grande domanda del Papa: come far sì
che i giovani diventino degli alleati
per questo nuovo modo di essere
della Chiesa

La grande domanda a cui in modo articolato e propositivo il Papa cerca di rispondere con questa lettera mi sembra perciò: come fare dei giovani degli alleati per portare avanti questo modo nuovo di essere Chiesa? E ciò prendendo molto sul serio la definizione conciliare della Chiesa data dalla Lumen Gentium di Popolo di Dio in cammino verso il Regno (LG 9).

Questo testo offertoci dal Papa merita davvero una lettura attenta e soprattutto coerente con tutta la novità e densità del messaggio di questo pontificato.

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