di Emanuela Vinai

Quasimodo piange questa sera. Ha perso la sua casa, tacciono le campane. E con lui piangono i parigini e si disperano i francesi, perché stasera brucia la casa di tutti, credenti e non.

Brucia Notre Dame de Paris, rovinano più di 800 anni di Storia e di letteratura, di fede e di patrimonio inestimabile dell’umanità tutta. Tra le alte fiamme che avvolgono il monumento più visitato della Francia si consuma una tragedia che coinvolge la cristianità e il mondo intero.

È il cuore che brucia stasera, dicono i messaggi di solidarietà, di dolore, di perdita incommensurabile, perché è crollato più di un monumento, più di una chiesa, è bruciato un sogno, un simbolo, un libro di storia.

(Foto: AFP/SIR)

Qui si sono celebrati riti religiosi e riti civili, ricorrenze laiche e funerali di Stato, cerimonie commemorative e la grande incoronazione di Napoleone a imperatore dei francesi. Era il 2 dicembre 1804. Cento e quarant’anni dopo, nel 1944, Hitler chiedeva “Parigi brucia?”: aveva chiesto di distruggere tutto, ma l’ordine non venne eseguito e la città si salvò, la cattedrale con lei. Non era la prima volta. Notre Dame è sopravvissuta ai saccheggi, alle devastazioni della Rivoluzione, all’abbandono dei primi anni del 1800. Questa volta è, forse, bastata una disattenzione, una superficialità nei lavori… Nel momento in cui la guglia, dito teso ad indicare il Cielo, a unirsi a Dio, si è accartocciata su se stessa, è caduta anche la speranza. Dall’alto delle torri di Notre Dame, i suoi custodi leggendari vegliavano sulla città: diavoli, grifoni e gargoyle. Ora chi guarderà in giù verso il popolo e i suoi peccati, in su verso l’orizzonte e la salvezza?

La storia di una cattedrale, scriveva Cesare Marchi, “aiuta a capire quella della città, e viceversa. Talvolta si identificano”. Questo perché la casa di Dio, un tempo, era davvero anche la casa degli uomini. Da centro della vita del popolo, la cattedrale era forse divenuta, nella società secolarizzata, più il centro del giro turistico, ma non per questo meno amata e rispettata. Più della Torre Eiffel, più del Sacro Cuore. Il grande rosone e le due torri gemelle (quale amaro parallelo), le guglie, le vetrate istoriate, gli archi aguzzi e la solennità delle navate erano esaltazione architettonica della Grazia e della devozione. Così forte e così fragile.

(Foto: AFP/SIR)

Guardando all’immane incendio che ha distrutto Notre Dame, il pensiero va a un altro rogo in luogo sacro: al terribile fuoco che 22 anni fa, quasi in questi stessi giorni, nella notte tra l’11 e il 12 aprile del 1997, distrusse la cupola del Guarini del duomo di Torino. Allora a bruciare era la cappella della Sindone. La reliquia si salvò: custodita dietro l’altar maggiore, un pompiere portò sulle spalle la teca della Sindone appena strappata alle fiamme e al crollo della cappella.

Allora come oggi le fiamme sembravano invincibili, inarrestabili, illuminavano di rosso la notte della città e si piangeva, perché tutto sembrava perduto.

Eppure, anche se bruciano le cattedrali, pur se cade un simbolo, non per questo viene meno la fede. Nostra Signora, perché, non va dimenticato, è alla Madonna che è dedicata la chiesa più fotografata dopo San Pietro, non abbandona i suoi figli solo perché la sua casa è distrutta.

Ma neanche i figli abbandonano la Madre. In ginocchio davanti al duomo in fiamme, in migliaia a Parigi hanno pregato e cantato l’Ave Maria. Ci si stringe, nelle tragedie, si torna ad essere comunità. Si ritrova ciò che è importante, ciò che conta. L’ultimo miracolo di Notre Dame.

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