Una delegazione vaticana sta visitando in questi giorni i campi di Moria e Kara Tepe a Lesbo a tre anni dalla visita di Papa Francesco nell’isola, nell’aprile 2016, insieme al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e all’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymus II. La delegazione vaticana è guidata dall’elemosiniere apostolico card. Konrad Krajewski che sull’isola ha portato una donazione di 100mila euro come contributo del Santo Padre all’opera della Caritas Hellas e rosari da distribuire alla gente. Con lui ci sono anche mons. Sevastianos Rossolatos, arcivescovo di Atene e mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece). Raggiunto telefonicamente dal Sir, mons. Hollerich spiega subito il motivo di questa visita: “Il Papa è venuto qui tre anni fa. È una missione per mostrare alla gente dei campi profughi, che il Papa pensa sempre a loro, che il Papa e la Chiesa si prendono cura di loro. Non se ne sono dimenticati”.

Perché ora?
Prima delle elezioni europee, questa missione vuole dare un segno all’Europa. Per questo motivo – credo – che il Papa mi ha chiesto di partecipare a questa missione insieme al card. Krajewski per mostrare che i profughi, i rifugiati sono gente vera, uomini, donne e bambini che soffrono. E se noi vogliamo che ci sia una Europa cristiana, allora siamo invitati ad aiutarli.

Ci racconti cosa ha visto in questi giorni?
Sono molto triste per quello che ho visto. Tanta gente si è avvicinata per parlarmi, per raccontarmi i loro problemi. Gente ammalata. È chiaro che il governo greco è presente e fa tutto il possibile per loro. Ma è impossibile arrivare a tutto, garantire per esempio un trattamento medico all’altezza dei problemi. E la gente soffre. Soffre anche di mancanza di speranza. L’altro giorno siamo stati invitati ad entrare in una tenda costruita da 7 giovani. Ci hanno offerto un tè. Un giovane ci ha raccontato che di notte studia l’inglese per prepararsi un giorno a venire in Europa. Ho visto un bambino con una malattia della pelle molto grave. Ho visto malattie degli occhi. È chiaro che queste persone arrivano qui in barca e in mare hanno subito tante cose. Ripeto: il governo greco fa molto ma è lasciato da solo. Non bisogna dire che il governo greco deve fare di più. È la nostra solidarietà che viene richiesta.

L’impressione che si ha qui, è che questa gente sia stata dimenticata dall’Europa e questo fa male.

A Lesbo, si arriva via mare. Che cosa vi hanno raccontato le persone dei campi di questi viaggi sui barconi?
A questo proposito vorrei dire che sarebbe utile fare corridoi umanitari. Sarebbe importante che le diverse diocesi, le Chiese in Europa, le associazioni cattoliche, le parrocchie possano organizzare – con l’aiuto della Comunità di Sant’Egidio che già li promuove – corridoi umanitari per dare a questa gente una nuova possibilità, una parte della felicità e del benessere che abbiamo tutti noi qui in Europa. E dimostrare che la Chiesa in Europa è solidale con i più poveri, che ci prendiamo cura di loro, che sono importanti per noi.

Cosa vuole dire da Lesbo all’Europa?
Abbiamo celebrato il 9 maggio la Festa dell’Europa. Sono contento di essere stato in questo giorno così particolare nella periferia dell’Europa. Con la gente povera.

Non parliamo mai più di Europa cristiana se non siamo pronti ad accogliere i poveri e i migranti.

Le prossime elezioni dovranno dimostrare se siamo cristiani o no. Se abbiamo ancora un resto di cristianesimo in Europa. Non è possibile parlare di cultura cristiana, di una Europa cristiana se non siamo pronti ad accogliere chi è nel bisogno.

Vi ha lasciato detto qualcosa Papa Francesco prima di partire?
Di assicurare la gente che il Papa è con loro. Il Papa è ancora a Lesbo. Il suo cuore è con la gente.

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