di Nazzarena Luchetti

Un giorno nel nome di papa Francesco. Ma anche del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo perché il 16 giugno si celebra anche la Santissima Trinità. Un giorno di sole in piazza Cavour, piena zona rossa, dove il Santo Padre, alla presenza di autorità, sindaci, parroci e migliaia di fedeli, ha celebrato la Santa Messa, riaccendendo i riflettori sugli abitanti di Camerino e su tutto il territorio martoriato dal terremoto di quel 26 ottobre 2016. Una visita “breve e intensa”, come lo stesso Francesco l’ha definita, ma dal grande potere mediatico, per non far scendere nel “dimenticatoio” la sorte di tante persone che vogliono velocizzare la ricostruzione e veder rinascere il proprio luogo, la propria vita. “Gli uomini, e i media, si possono dimenticare degli uomini ma Dio non dimentica l’uomo, la sua creatura, il suo grande sogno”, dice papa Francesco che è venuto tra questa gente non solo a consolare ma a rianimare la speranza di chi vive un dramma nel dramma, perduto nei labirinti di carte e perizie che stanno facendo più danni del terremoto. Due anni e sette mesi da quel giorno in cui, anche se grazie a Dio non ci furono vittime, la popolazione ha dovuto incominciare ad adattarsi alle circostanze più difficili, vivendo quel costante senso di estraneità di chi si è trovato da un giorno all’altro senza casa. C’è da rifare tutto: case e strutture pubbliche. Poi ci sono le chiese: delle 416, più di trecento non esistono più. Ma qualcosa si muove: la chiesa di San Venanzio a Camerino, ad esempio, sarà riaperta nel prossimo Natale grazie alla donazione di un privato. Camerino aveva circa settemila abitanti e ottomila studenti: quelli che sono rimasti, e non sono sfollati nei litorali, vivono nelle SAE, le strutture abitative emergenziali che oggi il Santo Padre ha visitato, parlando con tante persone, molte di più di quelle che erano previste. “Sono qui semplicemente per starvi vicino”, dice a tutti loro.

Papa Francesco passa davanti ai tanti cartelli: “Università di Camerino saluta il Santo Padre”, “Santità ridateci la speranza”, poi entra in cattedrale e si ferma, in un mesto raccoglimento, davanti al volto della Madonna sfigurata dalle crepe del terremoto.

Dopo le straordinarie letture liturgiche troppo importanti per commentarle in un breve articolo, le parole dell’omelia si sintetizzano in tre grandi concetti: sperare, ricordare e invocare lo Spirito della Trinità. “La speranza – dice il papa – non è semplice ottimismo, ma la certezza che siamo preziosi, che non siamo soli, che siamo amati a prescindere da tutto.  Nessun terremoto può deludere questa speranza. Per questo le nostre tristezze non debbono incatenarci”. L’invito è quello di invocare lo Spirito che ci consoli e illumini la nostra vita.

Papa Francesco sa che non è un compito facile perché ci vuole “più forza nel ricostruire che nell’iniziare, nel riconciliarsi che nell’andare d’accordo”. Riporre fiducia in Dio, che sempre si ricorda di noi e ci ama, invocando la luce dello Spirito: è il segreto per sopportare le vicissitudini della vita, anche quelle che non siamo in grado di capire, come ha ricordato il vangelo di Giovanni.

Che cos’è mai l’uomo?”, ripete più volte Papa Francesco, visibilmente commosso. Lo dice pensando a questa gente e di fronte alle case crollate. “Che cos’è mai l’uomo se ciò che innalza può crollare in un attimo? Dio si ricorda sempre di noi, delle nostre fragilità, egli ritorna al cuore di ognuno di noi. Siamo piccoli sotto il cielo ma per Lui siamo insostituibili”.

La consapevolezza di questo amore ci libera dai brutti pensieri, continua il papa, e non ci fa cadere nella tentazione di rattristarci. Dio ci aiuta a portare questo peso, a superare il vuoto e lo smarrimento.

Nel salutare tutti i fedeli, in particolar modo quelli di Camerino e di San Severino Marche, papa Francesco ricorda tutti i santi di cui è ricca questa terra, ma anche “i santi delle porte accanto”, quelli che fanno il bene ogni giorno, ma che non sono sotto i riflettori. Un argomento molto caro a papa Francesco quello della santità, come si legge nella sua esortazione apostolica Gaudete et exultate: “Una missione che ognuno deve compiere per costruire il regno dell’amore, della giustizia, della pace universale. “Si rinasce se si lavora insieme” aveva detto monsignor Francesco Massara pochi giorni fa e che oggi ha ribadito, ricordando alle autorità di non fermarsi alle promesse. Da dove (ri)cominciare, dunque? Da ognuno di noi. “Comincio io, portando la mia croce”, dice papa Francesco.

Alle sue spalle, dietro l’altare, c’è un grande crocefisso proveniente dalla chiesa di Castel Sant’Angelo sul Nera: unica speranza che “non scade mai”.

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