di Cristiana Dobner

Non è un post, non è un tweet. È pensare scrivendo. Tutto in Nadia Toffa fa pensare, costringe a riflettere. Forse è questo il suo lascito più duraturo. Sapeva indagare, cogliere le notizie, esporle e trascinare. Posto che non si trattasse di sabbia buttata negli occhi (e non lo era), bisogna ammettere che fosse esito di osservazione pensante, di un occhio scrutante. I suoi colleghi di battaglia l’hanno ben conosciuta e posseggono un linguaggio che la dipinge nel duro travaglio dei suoi ultimi mesi con termini se vogliamo icastici ma che, forse, non colgono appieno la ricchezza della sua lotta. Non regge in una situazione così ardua per una donna in piena ascesa di carriera, di incisività nel quotidiano, nel suo esporsi alle persone, rimandare ad una vaghezza fluttuante, qualche cosa di più urgeva dentro di lei. Magari quel lato segreto e nascosto che la sorreggeva perché se è vero (ed è vero) che ha saputo perdonare, il perdono non è una pianta che cresce spontanea e senza fatica.

È una pianta che richiede un germinare lento che plasma la persona momento per momento e la conduce su di un sentiero che non è naturale e facile come il respiro. La vitalità della giovane donna non sarebbe bastata per lasciar affiorare questo sentire che abbraccia tutti e coinvolge, molto di più di una notizia divulgata, portata a conoscenza. Molto di più di quella lunga battaglia per denunciare il marcio, per portare alla luce quel frammento di verità che solca le giornate e le vicende di tutti. Ora, se ha perso contro il mostro che la divorava, non ha perso ma anzi ha guadagnato in quella dimensione che dal perdono transita alla misericordia, anzi al Misericorde. Non si chiede al parroco della Terra dei fuochi, per cui si è battuta incessantemente, di accompagnarla in quell’ultimo viaggio per essere consegnata alla terra, se Qualcuno non vibra dentro, se non getta luce su di un tunnel da percorrere ma che sfocia nella Luce stessa, su quel territorio che non conosciamo ma che, per fede, attendiamo e che chiamiamo Eden: il giardino piantato dalla stessa mano dell’Altissimo. Qui i fuochi che distruggono e contaminano non esistono, esistono e palpitano solo quei fuochi che fanno ardere di amore e contagiano chi è ancora pellegrino e vuole trovare coraggio per combattere.

La battaglia è persa? Troppo banale descriverla così. La battaglia è stata un incitamento a vincere la dimensione che mai sarà tolta. Vittoria quindi per quella donna che, se ci ha lasciati, saremo noi a ritrovare con il suo sorriso che mai si spegnerà. Non per nulla Nadia significa speranza. Ne ha sparsa tanta da conduttrice, ha spazzato via coperture di disonestà, di malcostume, di quel gorgo di ingiustizie che investe l’esistenza degli umani. Speranza però guarda sempre più in là, sempre più avanti, non per precorrere i tempi e quindi sfondare con un’inchiesta che sconvolga ma per additare con la propria esistenza e la propria combattività di non demordere, perché per la persona non si parla mai di destino ma itinerario verso il Volto del Padre. Speranza ormai trasparente. Sarà ancora lei, la conduttrice, a condurre mentre ci si radunerà nel Duomo di Brescia.

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