«Pa’ muoviti! Mi devi accompagnare alla fermata dell’autobus!». Sono le 6,20, fuori è quasi notte. Se si fosse alzato per andare a scuola griderei al miracolo, visto che ogni mattina reagisce ai miei tentativi di svegliarlo con la stessa inerzia di un calco di Pompei. Ma oggi, venerdì, è un giorno speciale.

Usciamo di casa alle sette meno dieci. Arriviamo alla fermata e i compagni sono già lì, ad aspettarlo. Non c’è folla, non ci sono striscioni. La maggior parte dei partecipanti al “Friday for future”, manifestazione contro i cambiamenti climatici, deve ancora arrivare. «Ciao pa’ – dice scendendo dall’auto – torno verso le due».

«Beh, come è andata?», gli chiedo quando rientra a casa. «Bene». Come sempre una risposta laconica, dietro la quale possono nascondersi infiniti universi semantici. Non resta che cercare altrove, a tentoni, gli indizi di questa voglia sorprendente di partecipazione. Un germe di consapevolezza. Confuso, allegro, sgrammaticato e impetuoso, proprio come il carattere di un adolescente. In grado di leggere testi di Nietzsche e di Bertrand Russell, e poi di trascorrere ore in compagnia dei video di “Ciccio Gamer” o di “Favij”. Appassionato di “X Factor” e delle trasmissioni di Alessandro Borghese, e allo stesso tempo interessato ai dibattiti politici su La7. Lettore abituale dei reportage pubblicati dall’Espresso, allettato dalla proposta di ottenere il diritto di voto all’età di sedici anni. Capace di sdraiarsi sul divano, davanti alla Tv sintonizzata ad alto volume su Sky Sport, con l’inseparabile smartphone in una mano, e nell’altra un libro aperto sul quale studiare.

Si può pretendere dai protagonisti di questo mondo vitale e magmatico la virtù della coerenza? È il punto su cui si sono soffermati alcuni commenti diffusi sui social dopo la manifestazione del 29 settembre: «Avete un televisore in ogni stanza, passate tutta la giornata a usare mezzi elettronici; siete i maggiori consumatori di tutta la storia; la vostra protesta è pubblicizzata con mezzi digitali ed elettronici. Ragazzi, prima di protestare spegnete l’aria condizionata…». Parole acide, solo apparentemente in contrasto con il paternalismo insopportabile di chi ha affermato: «In fondo sono ragazzi, lasciamoli sognare…».

Ha ragione la scrittrice Paola Mastrocola quando afferma che il problema maggiore che la scuola deve affrontare per educare le nuove generazioni è il rapporto con il mondo circostante: gli «esempi di miserevole squallore» – dice proprio così – offerti quotidianamente da politici, giornalisti, uomini di spettacolo. E lo spettacolo peggiore è offerto da quegli adulti incapaci di cogliere la drammaticità della crisi ambientale, e di trasformare le istanze di un movimento nato dalla determinazione di una ragazza di sedici anni, in progetti politici in grado di affrontare – se non di risolvere – la complessità delle sfide in atto.

Bisognerebbe riflettere a lungo di fronte alle parole accorate di papa Francesco nella enciclica Laudato si’: la consapevolezza di vivere una stagione drammatica, la denuncia nei confronti della “cultura dello scarto”, l’accento posto sulla stretta correlazione tra i cambiamenti climatici che intaccano le risorse produttive dei più poveri, e il fenomeno delle migrazioni che tanto spaventa il mondo occidentale.

I giovani avvertono l’esigenza di un cambiamento – ha scritto – eppure non disponiamo ancora, noi adulti, della cultura necessaria per affrontare questa crisi. C’è bisogno di nuove leadership. Va a finire che sarà proprio un adolescente, lunatico e incoerente, a salvarci dai disastri dell’antropocene.

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