di Elisabetta Nardi

Dopo la pubblicazione del libro con le testimonianze su Padre Vincenzo Zucca ofm, la cui presentazione a Pollenza il 17 novembre scorso ha visto un grande afflusso di persone a lui affezionate, mi pare utile sottolineare il valore di alcuni oggetti che ne hanno caratterizzato la figura.

Sono innanzitutto gli elementi del vero francescano: lo zucchetto, la cocolla, il saio, il cordone,  il rosario, i sandali, a cui è impossibile non aggiungere quelli tipici di Padre Vincenzo: gli occhiali, la sciarpa il mantello e l’ombrello.

Lo zucchetto
Padre Vincenzo amava portare lo zucchetto sia d’estate che d’inverno, perché soleva dire: “Ciò che ti protegge dal caldo, ti protegge anche dal freddo”.  Infatti essendo calvo,  lo zucchetto in cotone gli proteggeva il capo dai raggi solari, ma anche dal freddo invernale. Gli  era stato regalato da Mafalda Lovati, lo aveva fatto fare apposta per lui da una magliaia.
Poco prima di morire gli fu sostituito da una fan; giuro che non sono stata io. Così ora sono due i devoti che lo indossano quando hanno qualche avvenimento importante!

Il Cappuccio, che lui chiamava Cocolla
È il cappuccio con il bavero, tipico della veste dei Frati Minori. Padre Vincenzo ci teneva molto a dire che l’abito dei Frati Minori si distingueva da quello dei Cappuccini, perché il loro cappuccio si poteva anche togliere, mentre i Cappuccini lo hanno cucito con la veste.
Nel suo cappuccio c’era un’ampia tasca, dove poteva introdurre tutto ciò che poteva essergli utile: era una sorta di cassetta degli attrezzi.
Oltre alle offerte che riceveva, P. Vincenzo vi teneva sempre due fili di ferro: uno fino e l’altro grosso. Un giorno gli chiesi a cosa gli servissero, ed egli prontamente mi rispose: ”Il fil di ferro grande serve per aprire le serrature grandi e quello piccolo per le serrature piccole.” Allibita da tale risposta, gli dissi: “Padre Vincenzo, che si è messo a fare lo scassinatore?” Lui candidamente mi rispose: “No, spesso ritorno al Convento tardi. Padre Lino già sta a dormire e non sente il campanello, perché è sordo; allora io, quando dimentico le chiavi, apro con il fil di ferro: quello piccolo serve per la serratura piccola, quello grande per la serratura grande”.

Una foto giovanile di Padre Francesco Zucca, fratello di Padre Vincenzo

Il saio
Indossare il saio era per lui motivo di grande orgoglio: l’abito di San Francesco, un abito da onorare con la propria vita. Ci teneva molto a dire che era lo stesso che aveva indossato per la professione semplice.
Un giorno mi disse: “Vedi? Questo saio è di stoffa molto buona, lo indosso da 50 anni!” Io un po’ sarcasticamente risposi: “Padre Vincè, la stoffa sarà stata pure buona, non lo metto in dubbio, ma è completamente ricoperta di toppe! Non si vede più l’originale!” Lui candidamente e “sdentatamente” rise.
Quel saio comunque, il caro frate avrebbe fatto bene a quotarlo in borsa … e sì! Avete capito bene! Ogni volta che raggiungeva il paese, qualcuno lo fermava e gli faceva un’offerta per ricomprarsi un abito più decente, lui accettava benevolmente l’umiliazione e l’offerta e correva alle poste a donare i soldi alle Missioni in Cina in ricordo di suo fratello che aveva trascorso là ben 19 anni come missionario.
Quando voleva ricordare il fratello, salito al Cielo nel 1991, indossava il cappuccio, che lui chiamava cocolla, di Padre Francesco, molto più nuovo e molto più scuro rispetto al suo vecchio saio:  una “sciccheria”, secondo lui, ma non per me sua fedele autista, che non facevo rombare il motore dell’auto finché Padre Vincenzo non si andava a rimettere il suo cappuccio, perfettamente in tinta con il suo saio.
Dopo più di 50 anni quel saio fu regalato ad un signore che ogni carnevale si vestiva da frate e passava per la questua. Il medesimo saio seguitò a fruttare anche dopo: ormai sapeva far bene il suo dovere!

Il cingolo francescano
Il cigolo francescano, guai a chiamarlo corda, Padre Vincenzo si stizziva come lui solo sapeva fare e cominciava a saltare urlando: “La corda è quella che si usa per suonare le campane, questo è un cingolo!” Come tutti i cingoli francescani, aveva i tre consueti nodi, che rappresentavano i voti di  povertà,  castità  e obbedienza. Li aveva osservati tutti.
Un giorno mi raccontò che prima di diventare frate, ossia verso gli otto anni di età,  si era innamorato di una bambina che andava a scuola con lui, poi però non aveva più pensato alle donne.
Il nodo della povertà era stato, a mio parere, quello che aveva rispettato di più.  Pur affluendo continuamente nelle sue tasche offerte a iosa, nulla lasciava per sé, tutto donava ai poveri. Per sé e per Padre Lino c’erano solo pranzi veloci e frugali a base di aglio e cipolla, per lo più.
Tutta Pollenza può testimoniare che il piccolo Padre Vincenzo se non riusciva a commuovere i peccatori fino alle lacrime con le parole, ci riusciva con l’acre odore di cipolla che emanava! Padre Pio profumava di rose e viole e il nostro Padre Vincenzo di aglio e cipolla! Ogni fiore emana il suo profumo caratteristico e così ogni santo ha il suo particolare effluvio.

Il rosario
Fino a verso gli ottant’anni ne portava due, uno appeso al cordone, come è tipico dei francescani ed uno in tasca. Una donna del paese lo apostrofava dicendo: “Padre Vincè, non ti vergogni di andare in giro con due rosari?” Lui rispondeva di no, per lui non era una vergogna pregare e sentiva che il mondo aveva tanto bisogno di preghiera.
Col tempo però i due rosari sparirono, quello appeso al cordone gli “impicciava”, perché gli si impigliava ai rovi quando passava per i sentieri di campagna;  l’altro era capitato che spesso lo aveva perso. E allora pregava con le dita…!

Con le scarpe ai piedi

Gli zoccoli
Gli zoccoli venivano rigorosamente indossati senza calzini, sia d’estate che d’inverno, finché l’età glielo ha consentito. Poi, alla soglia degli ottanta anni, sono sopraggiunte le scarpe, specialmente in inverno. Le scarpe erano rigorosamente riciclate da qualche frate morto nel convento infermeria; ovviamente erano sempre più grandi del suo piccolo piede e a volte gli servivano per  inciampare: cadeva a terra;  ma, nessun problema! Si alzava lesto e ripartiva!

Gli occhiali
Ovviamente gli occhiali (ben visibili nella foto che accompagna il titolo dell’articolo) non sono un elemento tipico dei francescani;  ma lui aveva fatto in modo di farli diventare così.
Un giorno, che dovevamo andare in visita alla Madonna di Loreto, si presentò con la nuova montatura. Sembravano un paio di occhiali dei Blues Brothers. Rimasi senza parole. Erano talmente giganteschi e scuri che gli davano un aspetto da grande intellettuale; le stanghette erano davvero esagerate. Chiaramente chiesi spiegazioni: “Padre Vincè, ma come mai si è comprato questa montatura così strana?”  E subito lui con il suo delicato accento arceviese: “Non l’ho comprata, ho solo preso la montatura di un frate morto e siccome le stanghette erano rotte, le ho cambiate con quelle di un’altra montatura!” Svelato l’arcano! Di mezzo c’era sempre il solito frate morto! Gli occhiali sono l’unica reliquia che è in mio possesso, li chiesi all’allora Provinciale Padre Brocanelli.

La sciarpa
La sciarpa, come il rosario, gli “impicciava”, gli si srotolava, gli rimaneva impigliata tra i rovi;  e allora aveva trovato un modo originale di indossarla: la faceva passare sotto la cocolla e poi la bloccava con il cordone.

Padre Vincenzo con indosso il suo mantello

Il mantello
Il mantello sembrava quello di Superman … e forse volava più velocemente di quello, visto che quando incontravo il caro Padre, che era a piedi in piazza,  e lo riportavo al convento, ritornata in piazza, lo incontravo di nuovo nello stesso posto di prima! Per fortuna di noi Pollentini non aveva il dono dell’ubiquità;  secondo me volava veloce con il suo mantello da un punto all’altro. Molti dicevano che Padre Vincenzo non ci stava più con la testa e quindi faceva continuamente avanti e indietro tra Piazza della Libertà  e il Trebbio. Io non ero affatto convinta di questa versione e allora un giorno glielo chiesi: “Padre Vincè, ma come mai fa continuamente avanti e indietro?A piedi, in inverno, con la salute cagionevole che ha…!”   E lui di rimando: “Perché così tutti, appena mi vedono, mi fanno salire e mi confessano le loro colpe e i loro problemi. Spesso non hanno tempo di andare a messa o di mettersi a parlare con un sacerdote. In questo modo io ho la possibilità di venire a contatto con tante persone”.
Così  la macchina del postino, della parrucchiera, dei Carabinieri, dello scopino e via dicendo diventavano il confessionale di P. Vincenzo. Certo, egli  non aveva bisogno dell’anno della Misericordia; per lui la Misericordia era attiva tutti i giorni e tutte le notti:  24 ore su 24!

L’ombrello
In tarda età, sempre dopo gli ottant’anni, era comparso accanto a lui, nelle giornate di pioggia, un grande ombrello, alto quasi come lui: si vedevano arrivare da lontano i due inseparabili: P. Vincenzo e l’ombrello da  pastore. Del resto quest’umile frate era anche lui un pastore seppure di anime.
Un giorno Padre Vincenzo riuscì a far ritardare la partenza, dalla chiesa verso il cimitero, del corteo funebre di Ezio, perché non trovava il suo ombrello, amico fedele di tanti incontri di anime.

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