Viene proposto qui di seguito il testo del discorso che il vescovo Nazzareno Marconi ha pronunciato a Recanati di fronte al Consiglio comunale la sera del 4 febbraio 2020.

Signor Sindaco, Assessori e Consiglieri di questo nostro comune di Recanati
Grazie della vostra disponibilità a questo incontro che vivo in spirito di amicizia e di servizio. Vorrei indirizzare queste mia poche riflessioni non solo a voi, ma anche agli uomini di buona volontà della politica locale, che si preparano alle prossime elezioni, sia comunali che regionali.

Non c’è né ci sarà mai
un “candidato del vescovo”

In questi ultimi tempi molti mi hanno posto la domanda: «Chi è il candidato del Vescovo?». Altri hanno creduto di poterlo identificare da soli senza consultarmi. Altri infine si sono accreditati, a mia totale insaputa, come «uomo o donna di fiducia del Vescovo». Il Candidato del Vescovo a una qualsiasi elezione non c’è, perché il mio compito non è “incoronare” gli uomini, ma testimoniare con schiettezza e chiarezza i valori e i principi del cristianesimo cattolico. Poi ognuno, nella libertà e responsabilità della sua coscienza, e questo è un valore cristiano basilare, dovrà decidere chi sia più adatto a tutelare e promuovere questi valori.

Compito del Pastore non è “incoronare”
gli uomini, ma testimoniare i valori
e i principi del cristianesimo cattolico

Siccome la Provvidenza non è mai in ferie, lo scorso 28 gennaio, l’Arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini, ha tenuto un discorso al Consiglio Regionale Lombardo, che mi ha aiutato molto a trovare le parole adatte per parlarvi di questi valori. Mons. Delpini, che conosco e stimo come uomo retto e saggio, ha fatto un discorso positivo, lontano dallo stile polemico e becero di tanta comunicazione politica che si pone sempre “contro” qualcuno. Parlava nello specifico di Milano e della Lombardia, terra ricca di un umanesimo cristiano e operoso. Mi scuso se quanto dico potrà apparire superbo, ma ho trovato tante similitudini tra le sue parole ed il nostro territorio. «Si parva licet…», dicevano i latini, se cioè i piccoli si possono confrontare con i grandi, il rapporto tra Milano ed il suo hinterland con i suoi pregi e difetti, ha molto da insegnare al nostro rapporto tra centro e periferie, città e territori. Così è per il rapporto tra Amministrazione e mondo del lavoro, sia imprenditoriale che operaio. Infine va ben ponderata la sfida del futuro tra identità da non perdere e accoglienza di nuove culture con cui entrare in positivo dialogo, tenendo conto che mentre a Milano gli stranieri ufficialmente presenti sono quasi il 20% da noi sono quasi il 10%.

Vi inviterei perciò a leggere nel dettaglio tutto il discorso di Mons. Delpini: “Elogio dell’umanesimo lombardo. Riconoscenza, fiducia, responsabilità”, di cui riporto solo stralci significativi.

Il testo parte alto, indicando uno stile di vita positivo, elaborato con il contribuito di tanti, anche di molti giovani marchigiani che da tempo lavorano a Milano. «L’umanesimo, cioè la visione dell’uomo, la configurazione dei rapporti sociali, la dinamica produttiva, l’organizzazione complessiva della convivenza, si è configurato nei secoli e negli ultimi decenni in particolare perché ha ricevuto, accolto, messo a frutto il contributo di persone che hanno trovato casa in Lombardia provenendo da tutte le regioni d’Italia e, in proporzione minore, da tutte le parti del mondo».

Ridare fiato a un umanesimo cristiano
e solidale che anche nelle Marche
ha segnato la parte migliore
della storia del dopoguerra
e che dovremmo meglio conoscere

Questo stile positivo merita perciò di essere rilanciato anche in altri territori italiani da cui ha parzialmente avuto origine, e il nostro mi sembra un territorio particolarmente vicino. Quello che loda Mons. Delpini non è però un Umanesimo qualsiasi, ma quello “Lombardo” che si caratterizza come “cristiano e solidale”. Ben diverso perciò da un “umanesimo ateo ed individualista”. Degli aspetti di questo umanesimo aperto agli altri e a Dio, partecipa anche quell’Umanesimo Marchigiano che ha segnato la parte migliore della storia del nostro dopoguerra e che dovremmo meglio conoscere.

Rischiamo di avere uno sguardo
chiuso dentro le mura cittadine,
incapace di pensarsi come parte
di un territorio con cui dialogare
e in cui potenziare le sinergie
e le collaborazioni, superando le divisioni
e le asfittiche rivendicazioni campanilistiche

Questo Umanesimo ci ricorda che: «La Regione è di più di Milano e richiede a chi l’amministra uno sguardo che non si concentri solo sulla città». Questa tentazione è viva anche da noi: il rischio è di avere uno sguardo chiuso dentro le mura cittadine, di ogni nostra piccola città, incapace di pensarsi davvero come parte di un territorio con cui dialogare positivamente, una rete di centri che va da Camerino a Civitanova in cui potenziare le sinergie e le collaborazioni, superando le divisioni tra partiti e dentro i partiti e le rivendicazioni asfittiche di indipendenza e primato campanilistico.

Cosa si sta facendo per intercettare
i flussi generati dalla Quadrilatero?

«Voglio fare l’elogio dell’umanesimo lombardo che apprezza la varietà dei territori… la vocazione della Regione ad essere terra accogliente e terra di passaggio». Come non pensare al fatto che la Quadrilatero rende il nostro territorio una importante “terra di passaggio” tra la costa adriatica e l’interno dell’Italia? Ma cosa si sta facendo per intercettare questi flussi che necessariamente continueranno a crescere, in una logica di vera “accoglienza”? Ad esempio quanta sinergia in più potrebbe esserci tra Recanati e Porto Recanati, soprattutto durante l’estate! Come anche tra Camerino, Tolentino, Macerata e Civitanova.

Un nuovo capitolo del discorso di mons. Delpini che ritengo ci riguardi è il rapporto tra ricchezza e valori dell’Umanesimo cristiano e solidale. Dice l’Arcivescovo di Milano: «La laboriosità creativa della nostra gente si è resa famosa per l’eccellenza dei suoi prodotti. Possiamo esserne fieri. Non possiamo però ignorare il pericolo che la ricchezza comporta: diventa oggetto di un desiderio avido di possesso, diventa un idolo al quale sacrificare i principi dell’onestà, della legalità, dei valori dell’umanesimo lombardo. Nelle visite ad alcuni Paesi di altri continenti ho sentito spesso ripetere: si tratta di un Paese ricco di risorse, con possibilità di sviluppo straordinario, eppure è un Paese dove la gente è povera, dove i giovani sperano solo di poter andare via, dove non si riesce a creare un sistema che provveda ai servizi di base». Anche qui i paralleli col nostro territorio si sprecano. Con una caratteristica che tocca la gestione dei Comuni, ma anche delle Università: la divisione a volte esasperata per gruppi di interesse e gruppi familiari, che incrina la trasparenza e l’onestà nelle scelte e l’attenzione primaria a mettere nei posti giusti le persone veramente competenti.

Nei Comuni ma anche nelle Università
c’è una divisione a volte esasperata
per gruppi di interesse e gruppi familiari, che incrina la trasparenza e l’onestà
nelle scelte e l’attenzione primaria
a mettere nei posti giusti le persone veramente competenti

È necessario un salto di qualità morale, dice l’Arcivescovo: «Contrastare la prepotenza non richiede solo normative e interventi delle forze dell’ordine. Piuttosto richiede che si ritenga un fatto politico e un impegno dell’amministrazione anche il contributo al patrimonio morale di tutta la popolazione: una cittadinanza che vive nella confusione e che è indotta a ignorare la distinzione tra il bene e il male è facilmente incline a cedere alla tentazione dell’utile, del maggior profitto possibile, dell’avidità scriteriata».

Cambiando il termine “Umanesimo Lombardo” con quello di “Umanesimo cristiano e solidale” queste parole diventano luminose anche per le nostre terre: «Voglio fare l’elogio dell’Umanesimo cristiano e solidale, costruito in secoli di storie complicate ma fiero dei suoi valori, capace di apprezzare la sostanza più che le apparenze, dedito al proprio dovere piuttosto che avido del potere, incline alla fiducia nell’opera delle sue mani, piuttosto che al clientelismo e alla pretesa. Nei rapporti con le istituzioni l’Umanesimo cristiano e solidale si aspetta di essere sostenuto nella sua intraprendenza piuttosto che sostituito, chiede al servizio pubblico di entrare in una logica di sussidiarietà, piuttosto che di centralismo sostitutivo».

Temi prioritari su cui confrontarsi:
la famiglia e i figli, il lavoro e i giovani,
la società plurale e il futuro
del cristianesimo

Un ulteriore prezioso capitolo del suo discorso mons. Delpini lo intitola: “Il buon senso, la sapienza, la fierezza di raccogliere le sfide”. Qui, senza la pretesa di dettare l’agenda politica, mette però in chiaro dei temi prioritari su cui confrontarsi e da cui scaturisce quella visione di futuro di cui tutta l’Italia ha serio bisogno: «I temi sono, la famiglia e i figli, il lavoro e i giovani, la società plurale e il futuro del cristianesimo».

Invitando ancora a leggere l’originale, riporto solo dei brevi stralci.
«Chi ha a cuore il bene comune non può sottrarsi alla responsabilità di prendersi cura della famiglia: da tempo si chiede una politica fiscale che consideri la famiglia un bene irrinunciabile per la società e ne promuova la serenità, che si favoriscano anche fiscalmente le famiglie che generano figli, che la questione della casa, delle case popolari in particolare, sia adeguatamente affrontata, che il rapporto tra impegno di lavoro e impegno di famiglia sia organizzato in modo equilibrato a sostegno della famiglia».

Appartiene allo spirito dell’Umanesimo cristiano e solidale una forma di sussidiarietà tra società civile, comunità cristiana, amministrazione pubblica, in particolare per dare sostegno alla sfida di educare oggi gli adolescenti, che determineranno il bene o il male della società futura.

La mancanza di lavoro per i giovani è un’altra sfida molto grave con cui dobbiamo confrontarci, perché dice l’Arcivescovo di Milano: «Nella condizione di disoccupazione o di precariato viene meno la stima di sé, la fierezza di assicurare una condizione dignitosa di vita per la propria famiglia». «Alla politica compete saper sviluppare una visione di lungo periodo, perché il tema cruciale del lavoro non sia un argomento per le emergenze, ma per la programmazione».

Infine un tema altrettanto significativo è quello del nuovo modello di società che dobbiamo costruire e che mons. Delpini definisce «società plurale nella libertà religiosa».
Siamo davanti ad un tempo nuovo, che per ora è solo agli inizi, ed è caratterizzato «dalla sfida della convivenza di persone che vengono da molte parti del mondo e portano le loro capacità, le loro attese, i loro bisogni, la loro cultura e mentalità, talora le loro miserie, i loro traumi e le loro sofferenze, le loro virtù e i loro vizi. Questa situazione si colloca entro il fenomeno planetario delle migrazioni che interessa milioni di persone e molti Paesi del pianeta. Il fenomeno migratorio è estremamente complesso e ha una risonanza emotiva profonda, anche se talora deformata da un’enfasi sproporzionata per alcuni aspetti».

Il fenomeno migratorio non va
né sottovalutato, né ingigantito

Sarebbe sbagliato sia sottovalutare che ingigantire il problema, che però non può essere solo rimandato o tamponato. L’Arcivescovo qui sfida la società e la Chiesa Lombarda, in una maniera che sento particolarmente significativa anche per noi. Dice infatti: «Dobbiamo liberarci dalla logica del puro pronto soccorso; dobbiamo andare oltre le pratiche assistenzialistiche mortificanti per chi le offre e per chi le riceve, anche oltre una interpretazione che intenda “integrazione” come “omologazione”. Si tratta di dare volto, voce e parola alla convivialità delle differenze, passando dalla logica del misconoscimento alla profezia del riconoscimento. Siamo chiamati a guardare con fiducia alla possibilità di dare volto a una società plurale in cui i tratti identitari delle culture contribuiscano a un umanesimo inedito e promettente; siamo chiamati mostrare come le nostre tradizioni, la nostra identità è così ricca di valori e dimensioni da dar vita a riedizioni inedite e inaspettate delle nostre radici».

Cioè non dobbiamo tagliare le nostre radici per creare una società neutra, che alcuni pensano potrebbe meglio accogliere chi è diverso da noi. Sarebbe un’operazione che porta alla morte della nostra civiltà. Ma neppure sradicare dalla loro cultura le persone che giungono tra noi, pretendendo di omologarle in tutto e per tutto. Quella che mons. Delpini chiama “la convivialità delle differenze” in cui le differenze non sono cancellate, ma messe in dialogo pacifico e costruttivo, è una via difficile, ma la sola che può aprire un futuro veramente stabile. Tra queste differenze da non cancellare, quella religiosa non è secondaria e proprio questa differenza potrebbe rivelarsi non un problema, ma una preziosa risorsa.

Va promossa la “convivialità delle differenze”, inclusa quella religiosa
che può essere una risorsa preziosa

Chi pensasse di costruire il futuro recidendo le radici della fede, si dovrebbe confrontare, come altrove è già avvenuto, con i frutti acidi dei fondamentalismi religiosi. Mons. Delpini lo ricorda con chiarezza: «Non c’è società plurale senza reale esercizio della libertà religiosa».

Questo mi sembra uno sguardo adeguato al futuro che ci attende, una visione basilare su cui confrontarci e con la quale iniziare un dialogo tra istituzioni e società civile non più rimandabile. Su questo ribadisco il nostro impegno come Chiesa Diocesana.

Grazie del vostro impegno per il bene comune.

Lascia un commento

  • La Foto (141)
  • Lavoro (175)
  • Macerata (1.504)
  • MenSana (27)
  • Missioni (22)
  • Mondo (1)
  • Montefano (12)
  • Musica (20)
  • News (2.978)
  • Politica (81)
  • Pollenza (47)
  • Pop Corn (31)
  • Programmi (23)
  • Quaresima (57)
  • Recanati (591)
  • Regione (314)
  • Reportage (28)
  • Rubriche (16)
  • Rugby (16)
  • Salute (240)
  • Scuola (417)
  • Sinodo (3)
  • Sisma (292)
  • Social (591)
  • Società (1.193)
  • Sport (531)
  • Tolentino (407)
  • Treia (272)
  • Unimc (253)
  • Video (2.023)
  • Volley (234)