di Massimo Succi

I dati ufficiali diffusi il 5 marzo dal governo giapponese sul Covid19 contano un totale di 1.056 persone colpite dal virus, di cui 346 contagiate in Giappone, 696 tra i passeggeri e i membri dell’equipaggio della nave Diamond Princess, e 14 rientrate con voli charter dall’estero. Di questi 1.056 i deceduti risultano essere 12.

I partiti di opposizione ma soprattutto l’opinione pubblica giapponese dubitano però che tali cifre rappresentino la situazione reale. Tali dubbi sono avvalorati dal fatto che
la complicata e rigida procedura da osservare per essere sottoposti ai test del virus ne limita il rilevamento non consentendo di avere un quadro veritiero della diffusione del contagio.
I giornali riferiscono di molti cittadini che, anche se affetti da febbre alta, tosse e sintomi di polmonite, dopo la prima consultazione telefonica con i centri di consulenza dedicati, non vengono considerati soggetti da sottoporre a visita presso i pochi centri autorizzati ad effettuare i controlli sulla presenza dell’infezione virale.

Masahiro Kami, medico e direttore del Medical governance research institute, Npo, ha inoltre commentato in una dichiarazione alla stampa che “i criteri che non permettono di essere testati a meno che non ci siano sintomi molto gravi appaiono strani. Il governo sembra non tener conto della necessità di dare risposte adeguate alle preoccupazioni dei pazienti”.

Tra critiche e polemiche, quindi,  il capo del governo Shinzo Abe cerca di correre ai rimedi e di far fronte all’emergenza Shingata koronauirusu, il nuovo coronavirus, attraverso iniziative di particolare impatto per il Paese. I provvedimenti da un lato tendono a limitare il diffondersi del virus in una nazione con più di 126 milioni di abitanti di cui il 20,7% ultrasettantenne, e dall’altro, a veicolare l’immagine di un Giappone in grado di fronteggiare la sfida delle prossime Olimpiadi, il cui rinvio rappresenterebbe un ulteriore colpo durissimo per l’economia nipponica.

In particolare la chiusura anticipata a livello nazionale delle scuole elementari, medie e superiori e l’appello rivolto dal Governo alle aziende a modificare il modo di lavorare incrementando il telelavoro, sono i due interventi che hanno imposto ad un Paese molto legato alle tradizioni e restio a mutamenti improvvisi, un repentino cambio di marcia in due ambiti considerati tradizionalmente pilastri fondamentali, intoccabili e incrollabili, della società nipponica: la scuola e il lavoro.

La richiesta avanzata dal primo Ministro Abe di chiudere il 2 marzo l’anno scolastico, che nel Paese del Sol Levante si apre l’8 aprile per terminare a metà marzo, ha colto di sorpresa le 47 prefetture dell’arcipelago, gli insegnanti, gli studenti e le famiglie. Si tratta infatti, se tutto andrà bene, di più un mese di sospensione della didattica,
con conseguenze sullo stile di vita e sulle abitudini delle famiglie che, per cultura e tradizione, non sono avvezze a periodi così lunghi di riposo.
Le famiglie, infatti, affidano e delegano alle istituzioni scolastiche l’educazione personale e civica dei propri figli, rendendo le scuole, di fatto, la principale agenzia educativa dei giovani.

In un Paese privo di oratori o di circoli sportivi gli studenti trascorrono intere giornate nelle scuole,

compresi sabati e domeniche: dopo le lezioni locali e impianti si trasformano in luoghi di aggregazione dove gli alunni, con l’assistenza degli insegnanti, sono impegnati nelle attività pomeridiane di club sportivi o di altro tipo.

Tuttavia, nonostante questo ruolo centrale, quasi tutte le prefetture hanno risposto positivamente alla richiesta del premier. Bambini e giovani infatti, sono considerati, secondo gli esperti, un fattore di rischio per la diffusione del Covdr19 in quanto spesso portatori sani del virus. Per questo, non senza polemiche,
in alcune prefetture ne hanno addirittura vietato l’accesso nelle biblioteche pubbliche, nelle palestre ed in altre strutture aperte al pubblico e frequentate anche da anziani.

Contestualmente a queste iniziative dirette a disincentivare l’uscita di casa di bambini e ragazzi, le autorità locali ed il Governo centrale stanno anche implementando forme di sostegno sia finanziario che organizzativo per consentire alle famiglie di stare accanto ai figli.

In tale direzione si muovono anche due dei principali provvedimenti varati dal Ministro della salute, del lavoro e del welfare Katsunobu Kato. Il primo ha prorogato fino al 30 maggio 2020 il termine di scadenza per la richiesta di finanziamenti per le piccole e medie aziende che intendano effettuare investimenti per avviare il telelavoro, mentre il secondo ha istituito un fondo per sostenere le imprese che attivino miglioramenti della organizzazione del lavoro incentivando i dipendenti a usufruire di congedi straordinari retribuiti.

Con tali interventi il Governo intende da un lato  contenere il rischio contagio nei luoghi di lavoro e gli assembramenti sui mezzi di trasporto e, dall’altro, dare la possibilità ai lavoratori di assistere i figli in questo lungo e inconsueto periodo di vacanze forzate.

In tale contesto e con gli stessi obiettivi, il governo Metropolitano di Tokyo, la cui area metropolitana conta una popolazione di circa 35 milioni abitanti ed il cui sistema di trasporto è fondamentalmente su rotaia,
sta facendo lavorare i suoi 10mila dipendenti col telelavoro su base trimestrale.

Il 5 marzo Yuichi Matsumoto, dell’Ufficio per i Giochi Olimpici, dopo aver coordinato in videoconferenza una riunione di nove responsabili della organizzazione dei Giochi olimpici e para olimpici che si dovrebbero tenere a Tokyo questa estate, ha dichiarato che intende promuovere presso le aziende della capitale nipponica l’esperienza di questo modo di lavorare che gli Uffici della Metropoli stanno sperimentando con successo e che, passata l’emergenza coronavirus, potrà rimanere utile anche per decongestionare la città nel periodo delle Olimpiadi.

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