di Alessandro Di Medio

“Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Mt 6, 6). Questo invito di Gesù, che proprio in Quaresima risuona nella proclamazione che la Chiesa fa della Parola, oggi deve diventare per noi quanto mai importante. “Deve”, perché in realtà, a quanto sembra, ancora troppi che pure si dicono credenti stanno credendo troppo poco al fatto che il Dio vivente parla con la vita, e che oggi ci chiede, come penitenza quaresimale, la clausura delle nostre quarantene, in cui digiunare anche della nostra prassi liturgica ordinaria.

Liturgia e preghiera personale non si contraddicono, né l’una può stare senza l’altra: è la liturgia, a partire dal Battesimo, che ci cementa nella vita spirituale, la vita di Dio, innestandoci nel Corpo di Cristo, e rende la nostra preghiera legittima, sacerdotale. Se manca però la dimensione interiore della preghiera personale, la liturgia si può facilmente ridurre a un dato esteriore, estrinseco rispetto al vissuto reale dell’uomo, e perde la sua intelleggibilità ultima.

Circostanze calamitose come quelle in cui viviamo possono privarci per un periodo della liturgia ― ma evitiamo i vittimismi: non saremmo certo i primi! Pensiamo ai nostri fratelli rinchiusi nei campi di concentramento, imprigionati, torturati, privati di chiese e sacerdoti… eppure tutti costoro hanno saputo mantenere nelle generazioni la fede, perché non è venuta meno per loro la dimensione personale della preghiera.

Ma tu, lasciato a tu per tu con Dio, sai pregare davvero? Ci hai mai provato?

Ebbene, anche in questo la Quaresima duemilaventi potrebbe rivelarsi molto fruttuosa, se ci aiutasse a stanare il vero problema: la fatica del doversi prendere in prima persona la responsabilità della propria preghiera.

Se venisse il giorno, non poi così assurdo e fantasioso (molti, in varie epoche, ci hanno provato), in cui venissero eliminati tutti i preti, il Vangelo continuerebbe a esistere IN TE?

È lì, in questi giorni faticosi e strani, che lo devi cercare. Chiuso in casa.
Prova a cercarlo: avrai delle sorprese – non necessariamente negative.

L’impegno che tanti di noi sacerdoti stanno mettendo in questi stessi giorni, è proprio nell’accompagnare i credenti, via internet, telefono o quant’altro, a (ri)scoprire che la liturgia è la fonte e il culmine, ma che in mezzo ci passa il vissuto personale, il cammino interiore di ciascuno e di tutti, e che senza questo “pezzo intermedio” la fonte disperderebbe le sue acque, e al culmine non arriverebbe nessuno. Il “pezzo intermedio” della fede interiorizzata, personalizzata, incarnata in tutto il resto della vita che avviene fuori dalle mura della chiesa.

Ora che noi preti, contro la nostra volontà, e certo non per viltà, possiamo fare ben poco, sta ai fedeli dimostrare di essere i portatori di Dio, brillando come fiaccole di fede, di sopportazione e di speranza dalla cella scomoda e necessaria delle loro case assediate dal contagio.

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