di Gaia Greco *

Èdal 4 marzo di questo “memorabile” 2020 che continuo a chiedermi che cosa stia accadendo intorno a me e dentro di me. Ancora non mi sono data una risposta esaustiva, almeno per due motivi: il primo, perché il perimetro del problema che tutti stiamo affrontando, non è tracciato del tutto, il Covid–19 è ancora qui; il secondo, perché ogni cambiamento evoca più domande che risposte.

Lasciando l’emergenza sanitaria, fisso il mio sguardo sull’essere studentessa oggi e sulla scuola come soggetto educatore, entrambi coinvolti in un cambiamento necessario.

E qui la mia strada s’intreccia con quella dei miei amici. La scuola costituisce la quotidianità di un ragazzo fin dall’infanzia. È un elemento d’identità che lo contraddistingue, la sua realtà: un luogo dove confrontarsi con sé e con gli altri. Siamo cresciuti vivendo il mese di settembre pieno di attese e di quell’ansia positiva di scoprire cosa sarebbe accaduto. Tutti ricordano con gioia il vociare degli alunni che si rivedono il primo giorno di scuola dopo una lunga estate, le corse per assicurarsi i posti migliori in aula, la campanella che scandisce l’inizio di un nuovo anno. Dal 4 marzo quella campanella non è più suonata e l’unico rumore da allora riconoscibile è l’assordante silenzio delle classi vuote. La quotidianità è cambiata e, con essa, la scuola. Gli istituti si sono messi in moto per attivare il servizio della didattica a distanza e, ovviamente, si sono subito verificate molte difficoltà: parecchie scuole hanno arrancato; vari studenti hanno lottato con una connessione instabile, con una metodologia e delle modalità di apprendimento cui non erano abituati e con la mancanza di device adeguati. In alcune famiglie c’era insufficienza di strumentazione. A questo gli istituti hanno cercato di ovviare fornendo supporti tecnologici in comodato d’uso. Inoltre, stando tutti in casa, un aspetto col quale si è dovuto fare i conti è stato la condivisione degli spazi: lo studio non è stato sicuramente facile per chi vive in una famiglia numerosa e con poche stanze a disposizione.

Anche l’apprendimento si è fatto più complesso, specialmente per materie che prevedono l’utilizzo di laboratori. Un altro problema affrontato riguarda il numero di ore trascorse davanti allo schermo. Tra videolezioni e materiali da produrre e da visionare si finisce col passare al computer molta parte della giornata. Questo provoca mancanza di concentrazione e stanchezza, che appesantiscono la condizione psicologica. Le scuole hanno cercato di andare incontro ai propri alunni proponendo una distribuzione delle ore di lezione nell’arco dell’intera giornata. Le preoccupazioni restano tante: la situazione che stiamo vivendo non lascia indifferenti e dedicarsi alla propria quotidianità è faticoso.

Altrettanta è la fatica che molti studenti sperimentano nell’immaginare il loro futuro prossimo: l’esame alle porte, in continua trasformazione, e la scelta dell’Università contribuiscono ad acuire la confusione dei ragazzi intrappolati dall’attesa di un futuro inedito. Come si può pensare al proprio domani se già l’oggi è fonte d’incertezza?

La scuola però ci sostiene in questi giorni duri: stando chiusi in casa, leggere testi proposti a lezione e ascoltare discorsi riguardanti le varie discipline ci ha offerto una finestra da cui poterci affacciare su realtà sconfinate. Così, quest’inattesa “siepe”, ha via via favorito la rivalutazione degli ambienti che ci hanno sempre circondato e che, forse, non abbiamo mai considerato abbastanza. Le cose che più ci mancano del contesto scolastico sono il contatto umano, il confronto con i professori e con i compagni di classe e quella campanella che tutti, indistintamente, speriamo presto di tornare ad ascoltare. Tornano le domande…

* V H liceo linguistico “G. Leopardi” Macerata

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