di Diana Papa

Fratel Charles de Foucauld, testimone della ricerca costante del volto del Signore, sarà proclamato santo.
Una figura complessa all’origine, che diventerà nel tempo sempre più semplificata e trasparente, nel momento in cui incontrerà il Signore. Il contatto con la profondità della fede dei musulmani in Marocco e il loro modo di pregare nel 1883-1884, lo conducono a porsi delle domande esistenziali.
In seguito, ritornato a Parigi, incontra l’Abate Huvelin che lo aiuta a ritrovare la fede. La profondità intellettuale che lo caratterizza, non lo porta a vivere in un solipsismo, ma lo spinge a capire che, per un efficace cammino spirituale, occorre il discernimento compiuto con l’aiuto di una persona. Si affida all’Abate e, attraverso l’accompagnamento, scoprendo sempre più l’amore di Dio, matura la possibilità di consacrarsi al Lui. Lasciandosi interpellare profondamente dal Signore, cerca la sua volontà: diviene un cercatore di Dio dal volto umano.

Inizia il percorso per diventare monaco trappista e durante il tempo di formazione si impegna a identificarsi con il Cristo. Vive in Francia, poi si trasferisce in Siria dove, prima di emettere i voti, lascia la trappa, perché vuole imitare più radicalmente Gesù nella povertà, ponendosi accanto a chi è collocato all’ultimo posto nella vita.

Si trasferisce presso le Clarisse di Nazaret in qualità di domestico, dove vive nel silenzio, nel nascondimento, con il cuore aperto all’amore universale. In una lettera del 12 aprile 1897, indirizzata a Luigi De Foucauld, scrive: “Mi sono stabilito a Nazareth…Il Buon Dio m’ha fatto trovare qui (…) quel che cercavo: povertà, solitudine, abiezione, lavoro umilissimo, oscurità completa, l’imitazione, perfetta nella misura del possibile, di ciò che fu la vita di Nostro Signore Gesù in questa stessa Nazareth…”.
I vari incontri con l’abbadessa del monastero lo aiutano a discernere un ulteriore passaggio da fare nella sua vita: diventare sacerdote. Dopo l’ordinazione, ancora una volta, si rende conto che il Signore lo chiama altrove e si trasferisce tra “le pecore più abbandonate”, nel deserto del Sahara, prima a Beni-Abbés e poi a Tamanrasset, un villaggio tuareg, a 1500 Km a sud di Algeri. La sua vita, scandita principalmente dalla preghiera, viene cadenzata dalla S. Messa, dall’adorazione Eucaristica, per adorare il Cristo vivente, dalla Liturgia delle Ore, dalla recita del Rosario, dalla Via Crucis.
L’evangelizzazione che mette in atto è data dalla sua presenza silenziosa tra i musulmani. Vive in un eremo, presso i Tuareg, che accoglie nella gratuità e con carità. Annuncia Gesù Cristo, il volto umano di Dio, attraverso la bontà, la misericordia del Signore che egli stesso aveva sperimentato nella sua vita. Vive la dimensione della fraternità universale, in atteggiamento di prossimità discreta e non selettiva, con il cuore in Dio che vede in ogni persona.

I Tuareg non hanno paura di avvicinarsi a lui: avvertono che si possono fidare della sua umanità. Lo nutrono con il latte, quando è ammalato, perché hanno sentito la gratuità del suo amore per loro.

Durante il conflitto della prima guerra mondiale, insorgono delle tribù tuareg nella zona dove egli vive. Alcuni rivoltosi raggiungono l’eremo e, senza forzare la porta che era sempre socchiusa, entrano, prendono Fratel Charles, lo legano, poi gli spararono una pallottola in testa. Muore il 1° dicembre del 1916.
L’esperienza di Fratel Charles è molto attuale. Rappresenta l’uomo di oggi che prende sul serio la vita: si pone delle domande esistenziali, cerca delle risposte, anche brancolando o sbagliando, percorre diversi itinerari, pur di trovare un senso da dare alla propria vita.
In questo tempo di pandemia stiamo scoprendo il valore delle relazioni e ciò ci permette di smascherare l’individualismo esasperato, che ha caratterizzato la nostra esistenza in questi anni. Fratel Charles ci consegna la scoperta dell’umanità vissuta attraverso la fratellanza universale. Egli diventa fratello tra gli ultimi, vivendo con loro.
Fratel Charles, da mistico e contemplativo, ci riporta alla consapevolezza che esistiamo, pensiamo, amiamo, ci muoviamo sempre in Dio anche quando non ci ricordiamo, e che l’uomo non può essere esaustivo in se stesso. Oggi anche noi cristiani, trascurando spesso la dimensione mistica e contemplativa della vita, crediamo che tutto inizi e finisca con la nostra esistenza. C’è, quindi, l’urgenza di rendere visibile Dio nella storia, attraverso la testimonianza, vivendo secondo Gesù Cristo e il suo Vangelo.

Egli ci fa toccare con mano che cosa significhi abbandonarsi al Signore, permettere a Lui di essere uno strumento nelle sue mani, di credere fermamente al grande amore di Dio per le creature.

La sua morte violenta è la testimonianza della sua consegna totale al Signore e ai fratelli. Egli, nel deserto, in compagnia di Gesù Cristo, ha tracciato per l’uomo e per la donna di oggi strade percorribili, per ritrovare la bellezza della vita, fatta di piccole cose che dicono l’umano e il divino insieme, nel silenzio, nel nascondimento, nella preghiera continua, con il cuore in Dio allargato sino ai confini della terra.

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