«È arrivata una lettera per te». «Una lettera? Per me?». La reazione del nativo digitale supera di poco la linea di galleggiamento di una totale indifferenza. Eppure la busta è proprio lì, sul tavolo. L’indicazione del destinatario ine- quivocabile. «Cari ragazzi, forse non lo sapete ancora, ma siete destinati ad entrare nei libri di storia…». La lettera, inviata da una lista civica locale, elogia il comportamento degli adolescenti nel periodo di lockdown. «Avete rinunciato a tutto pur di tutelare la salute dei più deboli e degli anziani. Vi siete comportati da eroi». E conclude: «Voi non siete sdraiati!». Il riferimento al titolo del libro di Michele Serra risulta datato, e la conclusione in contraddizione con le premesse, perché è proprio grazie al fatto di avere accettato di vivere da sdraiati che i nostri figli meritano il titolo di eroi. Lo avessero detto a me, a quindici anni, che sarei comparso nei libri di storia, avrei immaginato avventure spericolate in qualche zona remota del mondo o, appena più grande, avrei sognato di perdermi per le vie di Parigi come un vero flâneur, in compagnia di Baudelaire e dei suoi poemi in prosa.

E invece, eccoli i nuovi eroi per caso, costretti a restare in casa, indolenti per virtù, e non per noia. Ma sarà davvero questa l’impresa che li consegnerà alla storia?

La parola “sdraiato” include molti differenti atteggiamenti. Sdraiati sul divano per messaggiare con gli amici; fisicamente in famiglia, di fatto fuori a coltivare amicizie: il punto perfetto di equilibrio, da un certo punto di vista. Sdraiati a letto anche durante il giorno, a vedere video sul tablet e controllare il profilo Instagram: l’unico modo in cui si può restare in casa senza morire di noia, quando non ci sono altre cose da fare. Di fronte allo schermo della Playstation, invece, si resta a schiena dritta, perché non sono consentite distrazioni: completamente immersi nel gioco, insieme a compagni di avventura con cui si va a scuola, o sconosciuti che abitano in chissà quali altri mondi.

Chi ha dei figli adolescenti ha presente il ventaglio di situazioni appena accennato. Tutto questo mondo virtuale, fonte di continui rimproveri da parte degli adulti in tempi normali, è ciò che ha consentito ai ragazzi di sopravvivere durante il periodo di confinamento, quando tutto il resto della loro vita è improvvisamente scomparso. Evaporato da un giorno all’altro, in un clima di profonda incertezza, senza ben comprendere cosa stesse realmente accadendo. O forse era evaporato da tempo, senza che se ne fossero resi conto.

La tolleranza dei ragazzi alle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria è stata sorprendente. Eppure, a detta di alcuni, questa buona notizia ha un lato oscuro: hanno sofferto poco perché erano stati abituati da tempo a chiudersi in casa, e a coltivare con i loro coetanei rapporti quasi esclusivamente virtuali. In un articolo pubblicato il 28 giugno sul Sole 24 Ore (“Per una rigenerazione urbana delle relazioni”) lo studioso Stefano Bartolini ha riportato i dati di una ricerca effettuata in Italia su ragazzi delle scuole superiori: il 62% delle ragazze e il 36% dei maschi si sente solo. Molti ragazzi conducono una vita solitaria. La vita all’aperto non esiste più da qualche generazione. Per questo motivo è importante ripensare le nostre città riqualificando gli spazi aggregativi: aree pedonali, centri sportivi, parchi.

Scopriremo in questo modo, noi adulti, quanto sia bello sdraiarsi su un prato, a leggere un libro. E lasceremo alla generazione dei post millennial il compito di ritrovarsi insieme per decifrare il nostro tempo, come attori consapevoli e informati. Protagonisti, finalmente, di una storia tutta da inventare.

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