di Gianni Borsa

“Tutto è stato ispirato dalla quarantena. Io prima di allora ero un signor nessuno, un normale prete di oratorio. Poi ho pensato che per mantenere una vicinanza con i miei ragazzi avrei dovuto inventarmi qualcosa. Ho girato e montato un video su YouTube dal titolo molto semplice A cosa serve pregare. Ed è diventato virale”. Don Alberto Ravagnani, giovane sacerdote di Busto Arsizio (diocesi di Milano), che da mesi spopola su internet, racconta a Scarp de’ tenis, rivista di strada promossa da Caritas Italiana e Caritas Ambrosiana, come sia nata in lui la passione per i social.
L’intervista è pubblicata sul nuovo numero che uscirà nel fine settimana. Un video – gli domanda Maria Teresa Santaguida – può davvero avvicinare le persone alla fede? Ravagnani risponde: “Di questo sono certo perché ho raccolto i frutti. Da quando pubblico ho messaggi di persone che mi dicono ‘Grazie perché con quello che fai, mi hai cambiato la vita’”. Del mondo di internet non gli piace “la contrapposizione, la polemica politica. Penso che il mio compito sia quello di portare un messaggio con toni pacati”. Don Alberto aggiunge: “Non ho studiato comunicazione e non uso strategie, sono me stesso. Rifletto solo sul tipo di messaggio da mandare per adattarlo al contenitore: su TikTok ad esempio funzionano canzoncine e balletti. In fondo i social sono piazze con regole di comunicazione: non mi sognerei mai di usare lo stesso tono di un’omelia. Io voglio fare il prete, anche su internet: il Vangelo è un annuncio, che deve essere capito. Se vai in missione all’estero prima impari la lingua del posto e poi predichi”. Che cosa dicono i suoi superiori del suo talento per i social? “Credo che siano contenti: la Chiesa di Milano condivide i miei video, e anche la Cei me ne ha chiesti alcuni. La mia vocazione però resta la pastorale giovanile”.
Altra domanda: la comunicazione della Chiesa dovrebbe adeguarsi? “La Chiesa è rimasta indietro rispetto ai tempi. Papa Francesco invece è più avanti di tutti, perché con le sue parole arriva ovunque. E io sono d’accordo con lui: serve una svolta missionaria della Chiesa in occidente e questa passa inevitabilmente attraverso i social, perché influenzano la vita di milioni di persone. Quando ho incrociato i Ferragnez ho capito che c’è un’economia che si muove dietro alle loro figure. E ho pensato che se vogliamo parlare di Dio dobbiamo usare con i giovani un linguaggio che loro capiscono. Il che non significa mondanizzarsi”. Più avanti afferma: “Essere preti è una cosa molto bella e io sono molto felice. A volte incontro i miei compagni di classe: tutti nati nel ’93 e mi rendo conto che tra loro sono l’unico ormai sistemato”. Ha un sogno? “Il mio in parte l’ho realizzato, ma vorrei ogni giorno realizzare il sogno di Dio”.

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