di Massimo Giraldi e Sergio Perugini

Più che un colpo di scena, è un colpo al cuore. A chiudere la gara della 77ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, venerdì 11 settembre, è il film “Nomadland” della cinese Chloé Zhao, che spariglia le carte tra i favoriti e si posiziona in vantaggio per il Leone d’oro. Il film, che racconta la periferia americana tra sofferenze e speranze, è sorretto da una Frances McDormand di rara bravura, che mette una seria ipoteca anche per una Coppa Volpi. Il punto sulla giornata e un bilancio sui film in visita della premiazione di Venezia 77.

“Nomadland”

Prende le mosse dal romanzo omonimo di Jessica Bruder, ma si carica anche delle riflessioni della stessa regista Chloé Zhao il film “Nomadland”. L’autrice, nata a Pechino nel 1982 e formatasi in Inghilterra, si accosta all’ambiente statunitense raccontandone le periferie e la vita negli spazi aperti, costruendo un potente film on the road dalle sfumature del viaggio esistenziale. Protagonista è Fern, una sessantenne vedova che ha perso casa e lavoro dopo la crisi finanziaria del nuovo millennio; Fern non si rassegna e con un furgoncino adibito a casa si sposta lungo la provincia americana in cerca di lavoro, di un nuovo domani. Accanto a lei un popolo di erranti sui camper che si mette in gioco con i lavori più disparati, dalla grande catena di Amazon alle pulizie nelle piazzole di sosta per campeggiatori.
Stupisce, e non poco, lo stile poetico e vigoroso che adotta Chloé Zhao, che al suo terzo film dimostra una grande maturità. L’autrice è capace di cogliere tutta la complessità della periferia americana, tratteggiandone spazi, natura e umanità. Nello specifico, il suo registro è profondamente realistico e asciutto, ma mai disturbante; attraverso il personaggio di Fern ci mostra infatti una comunità di lavoratori, piegati da non poche fatiche e da una povertà che morde il fianco, che non si abbandona però alla disperazione e si sostiene in maniera solidale. “Nomadland” fotografa bene chi vive ai margini, gli scartati della società odierna, ma lo fa con gentilezza e grande rispetto, marcando la dignità con cui queste persone – e il film poggia anche su “attori” presi dalla strada – vivono la propria esistenza e si battono tenacemente per un possibile domani.
Merita una menzione speciale il lavoro interpretativo di Frances McDormand, che occupa la scena per tutto il film, denudandosi di orpelli e mostrando tutto di sé con grande intensità ed espressività. Il suo volto diviene uno specchio che riflette stati d’animo personali ma anche la qualità delle relazioni strette nei viaggi on the road, tutte segnate da empatia e bisogno di prossimità. La McDormand è davvero sorprendente nel puntellare il graduale percorso che compie Fern, che lungo il cammino abbandona zavorre esistenziali e ritrova slancio per rimettersi in gioco.
“Nomadland” è un film potente, bellissimo, segnato da diffusa poesia, che dal punto di vista pastorale è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti per una riflessione sul tempo che viviamo e i suoi cambiamenti sociali.

Per chi ruggirà il Leone 2020?
Ripercorrendo i dieci giorni di competizione, i film del concorso internazionale Venezia77, proviamo a tracciare delle ipotesi di palmares. I giochi ovviamente sono ancora aperti fino alla cerimonia di sabato 11 settembre alle ore 19, trasmessa anche in diretta da Rai Movie.
In prima film per il Leone d’oro troviamo anzitutto ritratti di donna, racconti che attingono a piene mani sia dalla storia che dalla contemporaneità. Donne ferite, piegate dagli eventi, ma mai rassegnate; prove di grande resilienza e coraggio che regalano suggestioni intense e vibranti. È il caso di film come “Quo vadis, Aida?” della regista bosniaca Jasmila Žbanić, duro racconto del massacro di Srebrenica del 1995, “Pieces of a Woman” dell’ungherese Kornél Mundruczó, fotografia in primo piano di una madre chiamata a elaborare il lutto per la perdita della figlia neonata, e “Dear Comrades!” del pluripremiato autore russo Andrei Konchalovsky, sofferta pagina di rivolta degli operai nella Russia del 1962 attraverso lo sguardo duro e dolente di una madre. Ancora, segnato da un forte realismo è il documentario di Gianfranco Rosi “Notturno”, viaggio nell’umanità che vive nei territori del Medio Oriente martoriati dalla guerra, un’opera struggente e poetica che si candida ugualmente per il podio.

Per la miglior regia il futuro è donna
Per il Leone d’argento come miglior regia vediamo quest’anno, mai come nelle precedenti edizioni, un netto vantaggio per le donne. Oltre alla citata Chloé Zhao con “Nomadland” possiamo annoverare Susanna Nicchiarelli con il suo biopic storico “Miss Marx”, assolutamente non convenzionale e con una forte scarica rock, come pure l’altra autrice italiana in gara, Emma Dante, che con le sue “Sorelle Macaluso” ha convinto per il suo stile graffiante e poetico insieme. Da non dimenticare certo Mona Fastvold con “The World to Come”, un racconto dai rimandi rurali-western attraverso una prospettiva tutta femminile.
Il premio per la miglior sceneggiatura lo vediamo bene per il messicano “Nuevo orden” di Michel Franco, altro colpo di fulmine al festival che ci mostra un possibile domani fosco e disturbante. Tra i riconoscimenti speciali che la giuria presieduta da Cate Blanchett potrebbe assegnare puntiamo sull’iraniano “Sun Children”, coinvolgente denuncia sui bambini perduti nelle strade di Teheran (e di fatto del mondo), come pure sull’indiano “The Disciple”, elegante percorso di formazione di un musicista chiamato a fare i conti tra il sublime dell’arte e le necessità della vita.

La Coppa Volpi femminile, la più contesa
E i premi per le interpretazioni, le due Coppe Volpi? Anche qui tutto è incerto. Di sicuro, la McDormand è un osso duro da battere con la sua performance in “Nomadland”, ma si è imposta all’attenzione di stampa e pubblico anche Vanessa Kirby con i suoi due ruoli sia per “Pieces of a Woman” che per “The World to Come”. Qualora non si aggiudicassero altri premi, tanto l’interprete di “Quo vadis, Aida?, Jasna Đuričić, come quella di “Dear Comrades!”, Julia Vysotskaya, sono assolutamente in campo per un giusto e meritato riconoscimento.
E tra gli uomini? A ben vedere pochi i ruoli che hanno lasciato il segno, data la forte impronta femminile della Mostra. Ad alzare la Coppa potrebbero essere il protagonista del film polacco “Never Gonna Snow Again”, Alec Utgoff, l’indiano Aditya Modak del film “The Disciple” o il premio Oscar Casey Affleck dal dramma “The World to Come”. Attenzione, però, a non trascurare la misurata interpretazione di Pierfrancesco Favino in “Padrenostro”. E the Winner is…

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