di Alberto Baviera

Siete favorevoli al taglio del numero dei parlamentari? Questo, in sostanza, il quesito su cui oltre 51 milioni di italiani saranno chiamati ad esprimersi nel referendum costituzionale confermativo che si terrà domenica 20 e lunedì 21 settembre.
Per la consultazione referendaria, inizialmente prevista prevista per il 29 marzo scorso ma poi rinviata a causa del lockdown, non è necessario superare il quorum di validità; ciò significa che l’esito sarà comunque efficace indipendentemente dalla percentuale di partecipazione degli elettori.
Quello sulla riduzione del numero dei nostri rappresentanti in Parlamento è il quarto referendum costituzionale confermativo sottoposto agli italiani negli ultimi 20 anni dopo quelli del 2001, del 2006 e del 2016. Solo quello di diciannove anni fa ha visto prevalere i “sì”, dando il via libera alla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione (federalismo). Gli altri due, relativi ad una più ampia revisione dell’architettura istituzionale del Paese, hanno avuto invece esito negativo.

La consultazione referendaria del 20 e 21 settembre riguarderà una modifica più “chirurgica” della Carta costituzionale, visto che riguarda soli tre articoli e, al loro interno, appena qualche numero.

La legge di revisione è stata approvata in doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, ottenendo la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti solo nella seconda deliberazione della Camera l’ottobre scorso, quando tutte le forze politiche, ad esclusione di alcune componenti del gruppo Misto, votarono a favore.

Una volta entrati nella cabina, infatti, gli elettori si troveranno davanti la scheda con il seguente quesito: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari’, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?”.

In sostanza

ogni italiano è chiamato a dare il via libera al taglio del numero dei parlamentari che scenderebbero dagli attuali 630 a 400 alla Camera dei deputati e da 315 a 200 al Senato della Repubblica,

numero al quale bisognerebbe comunque aggiungere quello dei senatori a vita.

La “sforbiciata” del numero di parlamentari sarebbe pari al 36,51%

(345 in meno di quelli odierni) facendo saliere a poco più di 150mila la media di cittadini (neonati compresi) rappresentati da ogni eletto a Montecitorio e a poco più di 300mila quella per ciascun rappresentante che siederà a Palazzo Madama.
La riforma riduce anche il numero dei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero, che passerebbero da 12 a 8 alla Camera e da 6 a 4 al Senato. Inoltre, è previsto che il numero minimo di senatori assegnato a ogni Regione si abbassi da 7 a 3. Anche le Province autonome di Trento e Bolzano, equiparate alle Regioni, potranno eleggere almeno tre senatori a testa mentre rimangono invariati i seggi senatoriali assegnati a Molise (2) e Valle d’Aosta (1).
Un ultimo aspetto interessato dalla riforma è quello relativo ai senatori a vita: se il referendum verrà approvato, il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non potrà in alcun caso essere superiore a cinque. Questa “precisazione” è stata ritenuta necessaria per evitare che si ripetano interpretazioni estensive dell’attuale articolo 59 della Costituzione di cui si resero protagonisti Sandro Pertini e Francesco Cossiga che, durante il loro settennato al Colle, nominarono entrambi 5 senatori a vita, facendo salire a 9 il numero di quelli contemporaneamente in carica.

C’è, infine, una questione che, seppur non codificata dalla riforma, è diventata centrale, forse anche troppo, nel dibattito politico: quella del risparmio economico che si avrebbe con 345 parlamentari in meno.

Le stime per le indennità non più pagate variano tra i 50 e i 100 milioni di euro l’anno su una spesa pubblica che nel Bilancio dello Stato è prevista di 662 miliardi il 2020 e di 672 per il 2021. Il risparmio annuo sarebbe inferiore allo 0,015% di quella complessiva. Come chiedere ad ogni italiano di rinunciare ad un caffè all’anno.

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