di M. Chiara Biagioni

“Sono più di 200 le vittime. Siamo arrivati ad almeno 320 e a morire sono tutti giovani dai 18 a 24 anni, soldati impegnati sul fronte. Io sto parlando delle vittime armene ma anche dall’altra parte ci sono innocenti che stanno morendo e tutto sta accadendo a causa di una politica sporca che nessuno riesce a fermare. Vi prego, basta”. Con preoccupazione mons. Raphaël François Minassian, arcivescovo per gli armeni dell’Europa dell’Est, racconta da Yerevan la situazione di un conflitto che non solo non si ferma ma sta allargando, e in modo preoccupante, il fronte dei paesi coinvolti. La contesa per il Nagorno-Karabakh, ogni giorno di più si sta trasformando in uno scontro sempre più violento e sanguinoso. Dai bombardamenti di trincea, s’è passati ai missili a largo raggio. Ma quello che più preoccupa è che gli scontri militari tra Azerbaijan e Armenia, possano diventare un catalizzatore per alimentare conflitti mai del tutto assopiti tra potenze, in particolare da quando la Turchia ha dichiarato di appoggiare Baku. Per questo motivo il Gruppo di Minsk, composto dalle diplomazie di Francia, Russia e Stati Uniti, nel quadro dell’Osce, ha affermato che la disputa in armi rappresenta “una minaccia inaccettabile alla stabilità della regione” e chiedono ad armeni e azeri un “cessate il fuoco immediato”. “Se non si mette un punto di arresto a queste continue aggressioni – conferma l’arcivescovo Minassian – noi temiamo un allargamento del conflitto. Se non si mette un limite, c’è il rischio di commettere lo stesso errore che è stato fatto nel 1915 con il genocidio”.

La Chiesa cattolica armena è coinvolta nel dare aiuto a chi è più colpito. “Siamo soprattutto impegnati ad accogliere ed aiutare i rifugiati che arrivano dai villaggi che si trovano lungo il confine nel Nagorno-Karabakh”, racconta l’arcivescovo.

Sono più di 1.200 le famiglie di rifugiati ed hanno bisogno al momento di un aiuto immediato.

“Abbiamo inviato proprio in queste ore una lettera alla Caritas Spagna con cui eravamo già in contatto. È una piccola goccia ma con le gocce si riempiono gli oceani”. Mons. Minassian racconta anche che i feriti dal fronte – di cui “non sappiamo ancora il numero preciso” – arrivano qui negli ospedali di Yerevan.  Ma mancano medicine e soprattutto le protesi per mani, piedi e braccia. Le ferite, purtroppo delle guerre, sono le stesse in tutto il mondo e lasciano vite giovani spezzate.

Priva di un accesso al mare, chiusa ai confini con Azerbaigian e Turchia, e con un’unica via di sbocco sulla Georgia, l’Armenia era anche prima dello scoppio armato a luglio del conflitto, un Paese economicamente provato e povero. Gli armeni emigrati all’estero sono molto di più di quelli rimasti nel Paese, lasciando questa terra priva di forze giovani e abitata da anziani soli. “Questa guerra – osserva l’arcivescovo armeno – sta causando ulteriori condizioni di povertà nella popolazione anche perché in questo momento tutti gli sforzi del governo sono indirizzati a rafforzare la difesa alle frontiere. È un momento estremamente difficile. Non vorrei essere pessimista, non vorrei dare uno sguardo solo negativo. Ma la situazione è questa e non possiamo che essere realisti”. La gente si stringe in preghiera. “Non ho mai visto le chiese piene di gente come in questi giorni”, racconta Minassian. “In tutte le chiese dell’Armenia, vengono a pregare soprattutto i genitori dei soldati impegnati sul fronte, ed è la testimonianza di un popolo cristiano, radicato nella fede”.

Appello all’Unione europea. “Sarebbe ancora una volta un appello di pace”, dice l’arcivescovo. “Chiediamo all’Unione europea che intervenga per mettere fine alle aggressioni. Non vogliamo consigli sul cessate-il-fuoco ma reali passi concreti perché si fermino definitivamente le aggressioni. Nell’area si intrecciano forti interessi dei Paesi su petrolio e gas. Ognuno ha il suo business. A tutti quindi vorrei dire: non giocate sulla vita dei popoli dell’Armenia e dell’Azerbaigian.

La vita dell’uomo è molto più preziosa del petrolio e del gas. Non permettiamo che gli interessi sporchino le mani dei potenti. Non permettiamo che per un pugno di dollari si scateni la guerra, si uccida. È una pazzia che dobbiamo fermare”.

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