La tradizione della preghiera per i defunti legata al mese di novembre è molto antica; le prime tracce di questa usanza risalgono al 998 per impulso di sant’Odilone, quinto abate di Cluny, molto devoto alla preghiera per le anime del purgatorio, che decise di fissare una data per la commemorazione dei defunti al 2 novembre.

Fu uno degli elementi della famosa Riforma cluniacense, un movimento di rinnovamento spirituale che si diffuse in tutta la Chiesa dell’Alto Medioevo, irradiandosi a partire dai monasteri benedettini legati a quello di Cluny, e segnò così una ripresa della devozione e della vita di fede di larghe fasce della popolazione europea, soprattutto nelle campagne. Tra gli elementi di questa Riforma ci fu una rivalutazione della celebrazione della Messa come grande preghiera di intercessione per i vivi e per i defunti. Si presero così a celebrare le Sante Messe ogni giorno e non solo nei giorni di festa. Ciò avvenne, almeno nei monasteri, con un ricordo speciale per le anime del purgatorio. Come per tutte le riforme, anche le migliori intenzioni possono degenerare, così in alcuni casi la Messa, da celebrazione della fede del popolo di Dio, divenne invece solo un rito, officiato dal celebrante su richiesta di un singolo fedele.

Queste deviazioni non tolgono il gran bene operato dalla Riforma cluniacense, in particolare nell’aiutare il popolo a vedere la Messa come il grande momento della comunione di tutta la Chiesa, la liturgia in cui siamo tutti uniti a Cristo: non solo i fedeli che vivono sulla terra, ma anche tutti quelli del cielo. Crebbe poi la stima per la preghiera di intercessione, quella preghiera generosa e altruista in cui chiediamo a Dio il bene e la salvezza degli altri, addirittura dei nemici, come fece Gesù dall’alto della croce.

La preghiera per i defunti del 2 novembre è così legata fin dall’inizio alla dottrina del purgatorio. Si tratta di un insegnamento della nostra fede cattolica che ogni tanto è stato criticato, soprattutto da chi si è lasciato contagiare da un modo approssimativo e anche errato di presentare la giusta dottrina. Chi tende a immaginare Dio in maniera troppo umana, come se il Signore avesse i nostri stessi vizi, ha parlato del purgatorio come di un carcere ultraterreno, in cui Dio si “vendicherebbe” delle colpe degli uomini con pene e tormenti, finché il male commesso non sia stato scontato. Che un tale modo di pensare Dio e la vita dopo la morte sia opposto a ciò che insegna il Vangelo, non è necessario essere teologi per capirlo. Già Joseph Ratzinger, in un suo bel libro degli anni ’90 sulle realtà della vita eterna, diceva che “il fuoco” del purgatorio non è altro che l’amore di Dio che ci purifica dalle scorie del male, come fa il fuoco per i metalli preziosi. Un buon vecchio parroco mi spiegava il purgatorio con una bella parabola, chiarissima per chi conosceva la vita contadina di 50 anni fa. Gli uomini, ci diceva, sono come le mele: di tante razze e forme diverse. Dio ci mette al mondo per imparare ad amare, per diventare buoni come le mele mature. Alcuni maturano prima. Altri maturano dopo. Qualche mela cade dall’albero ancora acerba. Se la mela è bacata bene, non resta che buttarla via, ma se è solo acerba il buon contadino la mette in un posto adatto e le dà tempo di maturare. Così le mele cadute diventano del tutto buone, anche dopo che sono state staccate dall’albero.

Questa bella parabola mi ha sempre ricordato che il purgatorio è il tempo della pazienza di Dio e della fiducia che “chi non è bacato del tutto dal verme del male” può finire di diventare buono anche dopo la morte. È un messaggio consolante, quello che la Chiesa ci invita a meditare in questo tempo autunnale in cui le tenebre crescono ogni giorno di più e la paura che il mondo diventi ogni giorno più cattivo potrebbe paralizzare la nostra speranza ed indebolire il nostro impegno per il bene.

In questo novembre segnato dal coronavirus, anche la consolazione di ritrovarsi in tanti nei nostri cimiteri a ricordare insieme le persone amate ci è stata un poco tolta. La Chiesa ha pensato bene di lenire questo dispiacere seguendo l’esempio della pazienza di Dio, e della parabola delle mele. Perciò la preghiera e l’indulgenza per i defunti legata al 2 di novembre è stata estesa da papa Francesco a tutto il mese di novembre. Cosicché, senza rischio di assembramenti pericolosi, ciascuno possa recarsi al cimitero quando vuole, a pregare per i propri defunti. Così funziona la fede: le difficoltà ci aiutano sempre a comprendere meglio e più a fondo l’amore di Dio e a farne tesoro per vivere nel bene.

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