Cosa ci riserverà l’anno appena iniziato? Ci sarà qualcuno capace di pronunciare parole di speranza? Nessuno appende più sui balconi lenzuolate di “Andrà tutto bene!”. I petardi del 31 dicembre – esplosioni scomposte di “vaffa” rivolte al 2020 – non hanno aiutato a voltare pagina. Ha scritto Etty Hillesum che nostro unico dovere morale è quello di dissodare in noi stessi vaste aree di tranquillità, fino al punto in cui questa tranquillità trabocchi, e si riversi su chi vive accanto a noi. Forse bisogna ripartire proprio da qui, da questo lavoro interiore e accogliente, per gettare un po’ di luce nel nostro tempo esausto, in cui la fragilità umana è riemersa con evidenza devastante anche nella parte ricca del mondo.

Un evento critico – afferma lo psicoterapeuta Giuliano Castigliego nel suo e-book “Il coraggio della fragilità” – si può trasformare in un prezioso motore di ricerca personale, capace di integrare luci ed ombre, sofferenza e risorse inattese in un nuovo progetto di vita. In termini collettivi può dare il via ad un processo di riorganizzazione delle strutture sociali esistenti per ampliarle e renderle adeguate ai nuovi bisogni.

Il concetto di resilienza è tutto qui. La determinazione nell’affrontare un percorso tortuoso che germina nella volatilità e nel movimento caotico, piuttosto che nel calcolo ordinato. La pandemia sta già cambiando  irreversibilmente il nostro modo di concepire la medicina, il digitale, il lavoro, l’economia e forse anche – speriamo – la politica. Ma non può trasformarci magicamente. Serve una presa di coscienza o, come dice Castigliego, una elaborazione del lutto rispetto a un mondo – quello in cui eravamo abituati a vivere – che non esiste più. Ci sono dei passaggi critici che è necessario affrontare: si inizia recalcitrando, da buoni negazionisti, cullati dall’illusione che il problema non esista; poi si attraversa la fase in cui tutto sembra precipitare nel vortice della rabbia;  infine ci si aggrappa ad una sorta di patteggiamento, convinti di potere ancora dettare le condizioni della trattativa per un ritorno alla normalità che ci era cara.

Pensiamoci bene: non è forse questo il percorso che ciascuno di noi ha fatto nei mesi scorsi? Ora però non possiamo fermarci: solo dopo avere accettato definitivamente la realtà della perdita dell’equilibrio precedente possiamo aprirci alla speranza di una nuova vita. Stiamo entrando in una fase creativa: a volte basta la sola riconsiderazione di un piccolo particolare per avere una percezione del tutto differente della propria esperienza di dolore: alcune fratture possono rivelarsi luminose. In questo cammino di rinascita, la narrazione di ciò che sta accadendo assume una importanza fondamentale: bisogna scegliere con cura le parole, usare metafore adeguate (la “guerra” al Covid vi dice qualcosa?).

La parole sono creature viventi. Abitano dentro di noi, costruiscono mondi. Possono trasformare una moltitudine in una comunità di destino. «Il mondo non è tutto dove lo vediamo e come lo vediamo – ha detto lo scrittore Claudio Magris in una recente intervista –. Il più grande esempio è don Chisciotte, il quale sa che Dulcinea è una rozza contadina, ma anche consapevole che ha quelle luci, quel chiarore, quel significato di cui, in quel momento, sembra totalmente priva».

Un anno nuovo si va formando: servono anime visionarie, e un ronzino fedele che ci conduca lontano.

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