Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!

Preghiamo i salmi con S. Giovanni Paolo II

SALMO 62
O Dio, tu sei il mio Dio,
all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a
te anela la mia carne,
come terra deserta, arida, senz’acqua. Così
nel santuario ti ho cercato, per contemplare la
tua potenza e la tua gloria. Poiché la tua
grazia vale più della vita, le mie labbra
diranno la tua lode. Così ti benedirò finché io viva, nel tuo nome alzerò le mie mani. Mi sazierò come a lauto convito, e con voci di gioia ti loderà la mia bocca. Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali. A te si stringe l’anima mia e la forza della tua destra mi sostiene.

La liturgia ci propone le prime due strofe del salmo 62 che sono incentrate sui simboli della sete e della fame. Come la terra arida è morta, finché non è irrigata dalla pioggia, e come nelle screpolature del terreno essa sembra una bocca assetata e riarsa, così il fedele anela a Dio per essere riempito di Lui e per potere così esistere in comunione con Lui. Gesù stesso esclamerà ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me” (Gv 7,37-38). Nel pieno meriggio di un giorno assolato e silenzioso, promette alla donna samaritana: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). Dopo il canto della sete, ecco modularsi nelle parole del Salmista il canto della fame. Un’altra necessità fondamentale della vita viene qui usata come simbolo della comunione con Dio: la fame è saziata quando si ascolta la Parola divina e si incontra il Signore. Infatti, “l’uomo non vive soltanto di pane, ma l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3; cfr Mt 4,4). E qui il pensiero del cristiano corre a quel banchetto che Cristo ha imbandito l’ultima sera della sua vita terrena e il cui valore profondo aveva già spiegato nel discorso di Cafarnao: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,55-56). La sete e la fame che ci spingono verso Dio, trovano il loro appagamento in Cristo crocifisso e risorto, dal quale giunge a noi, mediante il dono dello Spirito e dei Sacramenti, la vita nuova e l’alimento che la sostiene.

Una storia per pensare…
Un giorno, un vecchio saggio fece la seguente domanda ai suoi discepoli: “Perchè le persone gridano quando sono arrabbiate?”. “Gridano perchè perdono la calma” rispose uno di loro. “Ma perchè alzare la voce se la persona sta di fronte a noi?” chiese nuovamente il saggio. “Beh, gridiamo perchè desideriamo che l’altra persona ci ascolti” replicò un altro discepolo. Il maestro tornò a domandare: “Ma non è proprio possibile parlargli a voce bassa?”. Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il vecchio maestro. “Non sapete proprio dirmi perchè si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l’uno con l’altro. D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente e dolcemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra le loro anime è breve. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. È questo quello che accade ai cuori di due persone che si amano, si avvicinano.”

La voce di un Padre della Chiesa
Disponiamoci come ci è stato insegnato alle feste che si avvicinano:
non con il volto arcigno, ma con ilarità, come si addice ai santi. Chi è abbattuto, non viene incoronato; chi piange, non ottiene il trofeo. Non essere triste mentre vieni curato. Sarebbe sciocco non rallegrarsi per la salute della propria anima, ma dolersi per la sottrazione dei cibi, mostrando così di dar più importanza ai piaceri del ventre che alla guarigione dell’anima. (Basilio il Grande)

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