In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria

Preghiamo i salmi con S. Giovanni Paolo II

SALMO 118 (118, 145-152)
T’invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi; custodirò i tuoi precetti. Io ti chiamo, salvami, e seguirò i tuoi insegnamenti. Precedo l’aurora e grido
aiuto, spero sulla tua parola. I miei occhi prevengono le veglie per meditare sulle tue promesse.
Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia; Signore, fammi vivere secondo il tuo giudizio. A tradimento mi assediano i miei persecutori, sono lontani dalla tua legge. Ma tu, Signore, sei vicino, tutti i tuoi precetti sono veri.
Da tempo conosco le tue testimonianze che hai stabilite per sempre.

Questa è una sola strofa tratta dal Salmo 118, una monumentale preghiera di ben ventidue strofe, tante quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico. Ogni strofa si caratterizza per una certa lettera dell’alfabeto, con la quale iniziano i singoli suoi versetti. Questa premessa, un po’ esteriore, ci permette di capire meglio il significato di questo canto in onore della Legge divina. Esso è simile a una musica orientale, le cui modulazioni sonore sembrano non avere mai fine e salgono al cielo in una ripetizione che coinvolge mente e sensi, spirito e corpo dell’orante. In una sequenza che si snoda dalla ’alef al tau, cioè dalla prima all’ultima lettera dell’alfabeto – dall’A alla Z, diremmo noi con l’alfabeto italiano – l’orante si effonde nella lode della Legge di Dio, che egli adotta come lampada per i suoi passi nel cammino spesso oscuro della vita. Il teologo Dietrich Bonhoeffer, assassinato dai nazisti nel 1945, lo spiega così: “Indubbiamente il Salmo 118 è pesante per la sua lunghezza e monotonia, ma noi dobbiamo procedere proprio parola per parola, frase per frase, molto lentamente e pazientemente. Scopriremo allora che le apparenti ripetizioni sono in realtà aspetti nuovi di una sola e medesima realtà: l’amore per la Parola di Dio. Come questo amore non può mai avere fine, così non hanno fine le parole che lo confessano. Esse possono accompagnarci per tutta la nostra vita, e nella loro semplicità divengono preghiera del fanciullo, dell’uomo, del vegliardo”.

Una storia per pensare…
Quando compì vent’anni, Alessandro Magno riuscì a farsi regalare da suo padre, un
cavallo che nessuno era mai riuscito a domare: Bucefalo, un cavallo dal bellissimo aspetto, ma dal carattere bizzarro e selvaggio.
Alessandro voleva ad ogni costo domarlo. Ci provava ormai da tre mesi e nonostante le carezze, le parole sussurrate come ad un amico, non era ancora riuscito a stargli un attimo in groppa. Un giorno, mentre osservava il suo selvatico amico, Alessandro si accorse che il cavallo teneva la testa molto bassa, quasi nascosta tra le due zampe anteriori. Si era nel gran sole del mezzogiorno. Riflettendo, Alessandro ebbe un’idea: «Forse teme il sole!». Mentre nel cielo splendeva un sole splendido, Alessandro saltò dinanzi a Bucefalo, gli afferrò energicamente la testa e con tutte le sue forze gliela fece sollevare verso l’alto. Gli occhi del cavallo si fissarono per la prima volta sul sole. Alessandro si accorse che non lampeggiavano più, ma divenivano sempre più docili. Quando il giovane allentò la poderosa stretta con cui lo aveva afferrato, la testa del cavallo rimase eretta, fiera e tranquilla. Alessandro gli saltò in groppa e lo lanciò in un galoppo sfrenato nella pianura di Macedonia. Bucefalo aveva vinto la paura di guardare il sole. E ora anche gli uomini gli facevano meno paura… Quanti uomini “Bucefalo” hanno paura della luce del mondo. Quanti spaventati da Dio ci sono e per questo incapaci di vivere con sé e con gli altri. Aiutiamoli a sollevare lo sguardo!

La voce di una grande santa
Voglio cercare il modo di andare in cielo per una piccola via bella dritta, molto corta, una piccola via tutta nuova (Santa Teresa del Bambin Gesù)

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