Domenica mattina in zona rossa. In tempi normali le giornate di sole, a marzo, rappresentano una benedizione da cogliere al volo. Però oggi le auto sono rimaste in garage. Un giro intorno al proprio quartiere è il massimo che ci si può permettere. Un gruppo di amici sta discutendo. Il più alto indossa una mimetica dell’esercito: si muove in continuazione, come il cane di grossa taglia, pelo raso, che porta al guinzaglio. Un cane – si vede subito – abituato ad essere trattato da cane: coda tra le gambe, sguardo traverso. La sua parte in commedia è quella di esaltare la forza dell’altro, il padrone, o forse la fragilità di un adolescente cresciuto in fretta.

Parlano di donne e di università, dei loro progetti di viaggiare all’estero quando si potrà tornare a viaggiare. Uno di loro – indovinate chi – sogna una carriera militare negli Stati Uniti. Poi cambiano argomento. «Tutta colpa dei cinesi – dice quello seduto in panchina – sono riusciti a corrompere i membri dell’OMS, così l’allarme per la pandemia è stato lanciato in ritardo». «I cinesi sono ricchi, possono comprare tutto», lo asseconda l’amico seduto al suo fianco. «Non si tratta di ricchezza – precisa l’altro – ma di capacità di esercitare la propria influenza in ambito internazionale. Nasce tutto da lì».

La tendenza a concentrarsi sulla ricerca del colpevole, quando accade un incidente, rappresenta un meccanismo istintivo che abbiamo ereditato dai nostri progenitori. Entra in gioco senza che ce ne rendiamo conto. Fa parte di quella che il medico Hans Rosling, accademico e fondatore della sezione svedese di Medici senza frontiere, chiama, nel suo saggio dal titolo Factfulness, una visione drammatica del mondo, che porta ad ingigantire gli aspetti negativi e impedisce di comprendere cosa stia realmente accadendo.

Polarizziamo una realtà complessa in buoni e cattivi, ricchi e poveri, potenti e deboli. Cerchiamo spiegazioni semplici. L’istinto dell’accusa – pensiamo al livore che circola nei social nei confronti di politici, vicini di casa, runners, habitué della movida, stranieri – ci induce a ingigantire l’importanza di individui e gruppi particolari e ci deconcentra, perché una volta deciso a chi dobbiamo tirare il cazzotto, ci disinteressiamo del resto: smettiamo di cercare spiegazioni, e soprattutto non riusciamo a concentrarci sulle possibili soluzioni.

Le parole di Rosling meritano attenzione. Nel suo saggio, pubblicato nel 2018, aveva visto giusto. Al primo posto tra i 5 maggiori rischi globali che corre l’umanità aveva indicato proprio una pandemia: «I vari esperti di malattie infettive concordano che un nuovo resistente tipo di influenza è ancora la minaccia più sinistra per la salute globale. La ragione: le vie di trasmissione della malattia. Una persona può salire su un vagone della metropolitana e contagiare tutti i passeggeri». Non la previsione di un indovino, dunque, ma la lettura attenta di dati scientifici già allora disponibili.

Ecco quello che dovremmo fare. Smetterla di abbaiare al vento ogni volta che il vento suggerisce un latrato, e concentrarci sull’essenziale. Non abbiamo bisogno di un immaginario di guerra, ma di parole di cura. Non ci sono nemici da combattere, ma persone malate da accudire, un tessuto sociale da ricostruire, istituzioni da sostenere. La volontà di potenza di un adolescente può farci sorridere, quella di un adulto può provocare disastri.

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