“Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”

Preghiamo i salmi con S. Giovanni Paolo II

SALMO 41
Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio.
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Per l’insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: «Dov’è il tuo Dio?». Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

Una cerva assetata, con la gola riarsa, lancia il suo lamento davanti al deserto arido, anelando alle fresche acque di un ruscello. Questa celebre immagine apre il Salmo 41. Vi possiamo vedere quasi il simbolo della profonda spiritualità di questa composizione. La cerva assetata è, infatti, il simbolo dell’orante che tende con tutto sè stesso, corpo e spirito, verso il Signore sentito come lontano e insieme necessario: “La mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente”. In ebraico una sola parola, nefesh, indica contemporaneamente l’“anima” e la “gola”. Quindi possiamo dire che anima e corpo dell’orante sono coinvolti nel desiderio primario, spontaneo, sostanziale di Dio. Non per nulla, c’è una lunga tradizione che descrive la preghiera come “respiro”: essa è originaria, necessaria, fondamentale come l’alito vitale. Il Salmista si trova ora lontano da Sion: l’orizzonte che lo circonda è quello della Galilea, la regione settentrionale della Terra Santa, come suggerisce la menzione delle sorgenti del Giordano, della vetta dell’Ermon da cui sgorga questo fiume. Per questo sente più forte la nostalgia del Tempio, dove poteva contemplare il volto di Dio. La preghiera festosa di allora, elevata al Signore durante il culto nel tempio, è sostituita adesso dal pianto, dal lamento, dall’implorazione. Soprattutto a motivo di nemici e pagani che lo circondano e lo deridono per la sua fede dicendogli: “dov’è il tuo Dio?”. Di fronte a queste labbra secche che urlano, di fronte a quest’anima tormentata, a questo volto che sta per essere sommerso da un mare di fango, Dio potrà restare muto? Certamente no! L’orante si anima quindi di nuovo alla speranza.

Una storia per pensare…
Un giorno un giovane indiano che stava attraversando un passo montano, pieno di neve udì un fruscio vicino ai suoi piedi, abbassò lo sguardo e vide un serpente. Prima che il giovane potesse muoversi, il serpente parlò. «Sto per morire», disse. «Fa troppo freddo quassù per me e non c’è nulla da mangiare. Mettimi sotto la tua camicia e portami a valle». «No!», rispose il giovane. «Conosco quelli della tua specie. Sei un serpente a sonagli. Se ti raccolgo mi morderai e il tuo morso mi ucciderà!».
«Niente affatto!», disse il serpente. «Con te non mi comporterò così. Se fai questo per me, non ti farò del male, anzi ti renderò invincibile e felice». Il giovane rifiutò per un po’, ma quel serpente sapeva essere molto persuasivo. Alla fine, il giovane se lo mise sotto la camicia e lo portò con sé. Quando furono giù a valle, lo prese e lo depose delicatamente a terra. All’improvviso il serpente si arrotolò su se stesso, scosse i suoi sonagli, scattò in avanti e morse il ragazzo a una gamba. «Mi avevi promesso…», gridò il giovane. «Sapevi che cosa rischiavi quando mi hai preso con te!», disse il serpente strisciando via… Dedicata a tutti coloro che si lasciano tentare dallo sballo della droga, dall’alcol o dall’eccessiva velocità sulla strada. «Sapevi che cosa rischiavi quando mi hai preso con te».

La voce di un teologo e pastore
Maria ha puntato tutto sull’onnipotenza del Creatore. Tu, Giuseppe, hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza. La carità ha fatto il resto, in te e in lei. (don Tonino Bello)

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