SALMO 50 (50,3.12-13.15-16)

Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia.

È significativo innanzitutto notare che, nell’originale ebraico, per tre volte risuona la
parola «spirito», invocato da Dio come dono e accolto dalla creatura pentita del suo peccato: «Rinnova in me uno spirito saldo… Non privarmi del tuo santo spirito… Sostieni in me uno spirito generoso». È una triplice invocazione dello Spirito che, come nella creazione si librava sulle acque (cfr Gn 1,2), ora penetra nell’anima del fedele infondendo una nuova vita e innalzandola dal regno del peccato al cielo della grazia. I Padri della Chiesa nello «spirito» invocato dal Salmista vedono la presenza efficace dello Spirito Santo. Così sant’Ambrogio è convinto che si tratti dell’unico Spirito Santo «che ribollì con fervore nei profeti, fu insufflato da Cristo negli apostoli, fu unito al Padre e al Figlio nel sacramento del battesimo». E ancora sant’Ambrogio, osservando che il Salmista parla della gioia da cui l’anima è invasa una volta ricevuto lo Spirito generoso e potente di Dio, commenta: «La letizia e la gioia sono frutti dello Spirito e lo Spirito Sovrano è ciò su cui noi soprattutto ci fondiamo. Chi perciò è rinvigorito con lo Spirito Sovrano non soggiace alla schiavitù, non sa essere schiavo del peccato, non sa essere indeciso, non vaga qua e là, non è incerto nelle scelte, ma, piantato sulla roccia, sta saldo su piedi che non vacillano». Con questa triplice menzione dello «spirito», il Salmo 50, dopo aver descritto nei versetti precedenti la prigione oscura della colpa, si apre sulla regione luminosa della grazia. È una grande svolta, paragonabile a una nuova creazione: come alle origini Dio aveva insufflato il suo spirito nella materia e aveva dato origine alla persona umana, così ora lo stesso Spirito divino ricrea, rinnova, trasfigura e trasforma il peccatore pentito, lo riabbraccia e lo rende partecipe della gioia della salvezza. Ormai l’uomo, animato dallo Spirito divino, s’avvia sulla strada della giustizia e dell’amore, come si dice in un altro Salmo: «Insegnami a compiere il tuo volere, perché tu sei il mio Dio. Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana» (Sal 142,10). Sperimentata questa rinascita interiore, l’orante si trasforma in testimone; promette a Dio di «insegnare agli erranti le vie» del bene (Sal 50,15), così che essi possano, come il figlio prodigo, ritornare alla casa del Padre. Nello stesso modo sant’Agostino, dopo aver percorso le strade tenebrose del peccato, aveva poi sentito il bisogno nelle sue Confessioni di attestare la libertà e la gioia della salvezza. Chi ha sperimentato l’amore misericordioso di Dio ne diviene un testimone ardente, soprattutto nei confronti di quanti sono ancora impigliati nelle reti del peccato. Pensiamo alla figura di Paolo che, folgorato da Cristo sulla via di Damasco, diventa un instancabile missionario della grazia divina. Per un’ultima volta l’orante guarda al suo passato oscuro e grida a Dio: «Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza». Il «sangue», a cui egli fa cenno, è variamente interpretato nella Scrittura. L’allusione, messa in bocca al re Davide, fa riferimento all’uccisione di Uria, il marito di Betsabea, la donna che era stata oggetto della passione del sovrano. In senso più generale, l’invocazione indica il desiderio di purificazione dal male, dalla violenza, dall’odio sempre presenti nel cuore umano con forza tenebrosa e malefica. Ora, però, le labbra del fedele, purificate dal peccato, cantano al Signore. E il brano del Salmo 50, che abbiamo commentato, finisce appunto con l’impegno di proclamare la «giustizia» di Dio. Il termine «giustizia» qui, come spesso nel linguaggio biblico, non designa propriamente l’azione punitiva di Dio nei confronti del male, ma indica piuttosto la riabilitazione del peccatore, perché Dio manifesta la sua giustizia col rendere giusti i peccatori (cfr Rm 3,26). Dio non ha piacere per la morte del malvagio, ma che desista dalla sua condotta e viva (cfr Ez 18,23).

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