Il 3 Aprile 1944 è la storica data del primo e disastroso bombardamento aereo di Macerata; poi seguiranno i bombardamenti del 2 giugno, del 14 giugno e del 6 luglio. Il bombardamento del 3 aprile e i successivi attacchi aerei costarono la vita a 129 maceratesi e 200 furono i feriti. Tanta parte della città fu distrutta. Come in tutte le guerre le vittime furono soprattutto bambini, donne e anziani, in prevalenza residenti in vicolo della Nana, corso Cairoli, piazza Nazario Sauro, via Santa Maria della Porta, Padre Matteo Ricci, corso Cavour, via Roma, piazza della Vittoria, le Vergini, zona dell’Ospedale, zona del Ponte ferroviario. Il loro sacrificio ha contribuito, insieme a quello di migliaia di caduti civili e militari, all’affermazione della libertà e della democrazia nel nostro Paese.

Fare memoria di questi eventi deve rappresentare un monito ed un insegnamento per un futuro senza più violenza, basato sul rispetto della vita, della pacifica convivenza, della cooperazione e del dialogo fra gli uomini. Si disse che il bombardamento doveva vendicare i 26 giovani fucilati a Montalto il 22 marzo, o perfino che servisse a far fuggire i partigiani imprigionati. Ma Fattorini dichiarerà che mai fu dato ordine agli inglesi e l’avv. Ciaffi ricorderà che il padre, allora Responsabile del CNL non l’avrebbe di certo mandato a scuola se sapeva che da lì a poco sarebbero cadute bombe.

La realtà storica ci dice che questo era un periodo particolare. Il 25 luglio del ‘43 Mussolini dava le dimissioni, sostituito da Badoglio; l’8 Settembre l’Italia firma l’armistizio, l’Italia è invasa dai nazisti, Campo Imperatore e la liberazione di Mussolini, fuga del Re e di Badoglio, dissoluzione dell’esercito italiano, la scomparsa di ogni punto di riferimento e la nascita della Repubblica di Salò.

Targa messa nel luogo dove ci furono più morti

Questo il quadro in cui si colloca il bombardamento degli inglesi. L’incursione fu un’azione con finalità esclusivamente militari, progettata in modo da evitare, per quanto possibile, vittime civili: gli obiettivi nella città assegnati al bombardamento mirato dovevano essere solo militari: le “Casermette”, la Caserma Castelfidardo e la Caserma Corridoni. Le cose però andarono ben diversamente e gli obiettivi furono in parte mancati. Il 3 aprile era una giornata fredda con cielo coperto; era lunedì Santo. Alle 8.40 dal campo di aviazione di Biferno erano decollati 12 aerei. Sei apparecchi mirarono al palazzo della Prefettura, cinque alla Casa del fascio in piazza Mazzini. Poi i bombardamenti alla caserma Castelfidardo e il palazzo Conti – Consorzio Agrario -, dove c’era il Comando tedesco, il Distretto militare e la caserma Corridoni, in viale Trieste.

I Baltimores in due formazioni di sei apparecchi ciascuna, che sorvolarono le Casermette sganciarono il carico di bombe, che caddero subito all’esterno della caserma parallelamente a tutto il lato sud del perimetro, tra esso e la strada provinciale fino a oltrepassare l’incrocio con via Spalato; altre finirono nei campi fra la strada e la ferrovia, e anche oltre la ferrovia. Alla fine i cacciabombardieri centrarono solo uno degli obiettivi, la caserma Castelfidardo. Distruzioni si ebbero a Piaggia della Torre in via Santa Maria della Porta, vicolo della Rota e, sul lato opposto, circa alla piaggia della Torre, in via Padre Matteo Ricci, in via della Nana e nelle zone vicine di corso Cairoli. Una vera strage si ebbe in via della Nana, dove l’esplosione investì la gente che correva per raggiungere i campi attraverso la via del Pozzo e coinvolse nei crolli un forno pieno di donne che compravano il pane: i morti furono una quarantina, tra i militari furono 15. Le strade che escono da Macerata si riempirono subito di una folla che si allontanava con ogni mezzo.

Le bombe inglesi colpirono ancora la nostra città il 2 giugno 1944 fu bombardato il Ponte della ferrovia nei pressi del Cimitero, lo fallirono ma colpirono l’ospedale civile uccidendo 4 persone. Una delle vittime fu la piccola Ornella Montanari di 5 anni. La bimba fece da scudo alla sorella Faustina che la teneva in braccio. Il 14 dello stesso mese ci fu un altro bombardamento nello stesso sito, colpirono sbagliando ancora la zona Vergini – passaggio a livello Chiavari. Anche qui morirono 11 persone. Il 30, sempre dello stesso mese, Macerata è liberata dalle forze Alleate ma il 6 Luglio, un aereo “Cicogna” tedesco lasciò cadere sopra la città durante una ricognizione notturna, diversi spezzoni esplosivi nelle zone di Viale Trieste (presso l’Istituto Femminile delle Suore di S.Giuseppe e la caserma “Corridoni” in Piazza Mazzini e Viale Leopardi facendo 4 vittime.

Commemorazione in occasione dei 75 anni con l’affissione della targa

Nel 2019, per i 75 anni del Bombardamento di Macerata è stata scoperta una lapide in via Pannelli per ricordare i morti e gli eventi di quel tragico giorno in cui le bombe colpirono pesantemente quelle zone ma anche in ricordo di tutte le vittime civili maceratesi.

LE TESTIMONIANZE e LE STORIE

VITTORIO BIANCHINI
Vittorio Bianchini era nato a Macerata il 24 dicembre 1924, dopo la maturità classica si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza di Macerata superando con ottimi voti gli esami del primo anno. Poco dopo l’8 settembre. L’ultimo esame Istituzioni di Diritto Privato lo sostenne il 21 febbraio 1944, 40 giorni prima della sua tragica fine. Scrive il fratello «era un carattere forte, pronto ad assumersi responsabilità e a prendere decisioni, era un leader tra i compagni di scuola. In questo periodo così difficile il generale Graziani firmava un bando che imponeva, sotto minaccia di morte, l’arruolamento forzato alla Repubblica Sociale per continuare la guerra a fianco dei tedeschi. Vittorio ed altri amici decidono di non rispondere al bando e di rifugiarsi nelle montagne del Maceratese, dove si stava costruendo un movimento di resistenza che sarebbe stato operativo solo più tardi. Costretto a rientrare in città per le dure condizioni climatiche, si nascose nell’abitazione di famiglia in attesa degli eventi. Non si sa da chi e in che modo fosse stata segnalata la sua presenza, fatto sta che pochi giorni prima di Natale le guardie repubblicane si presentarono in casa Bianchini armate di mitra. Spiegarono alla famiglia che se Vittorio non si fosse presentato al Distretto Militare, loro sarebbero tornati e portati in prigione la madre, la sorella e il fratello Guido allora quindicenne. Nonostante la sua profonda avversione al regime, posto di fronte a quel ricatto non ebbe esitazioni e si presentò alla Caserma Corridoni da dove fu trasferito alle Casermette in via Roma. Intanto lavorava alla contraffazione di lasciapassare, timbri e documenti per raggiungere le zone dell’Alto Maceratese. Tutto, armi comprese, fu nascosto nella sua casa, pronto per l’occorrenza. La mattina del 3 aprile 1944, il suo reparto era uscito dalla caserma per un’esercitazione nella vicina campagna ma, per una fatale coincidenza, Vittorio non partecipò all’esercitazione per cui verso le 10, quando iniziò il bombardamento aereo, uscì dalla caserma cercando la salvezza in via Roma. Una bomba esplose a nemmeno un metro da lui che, a diciannove anni, vide spegnersi il suo desiderio di vita e di libertà.

ROMANO JOMMI
ricorda che con gli altoparlanti e con i manifesti, si invitava la popolazione a non fermarsi nelle strade, si raccomandava di raggiungere il più vicino rifugio antiaereo o di disperdersi nella campagna. Il giorno 3 Aprile 1944 la tragedia. «Erano le 9,30, le sirene d’allarme avevano suonato 15 minuti prima. Una formazione di molti aeroplani caccia e bombardieri, stava passando come al solito; all’improvviso dalla formazione si staccano alcuni aerei e picchiano dopo un breve giro su Macerata con un mitragliamento tremendo. Io mi trovavo all’ultimo piano della Prefettura dove eravamo acquartierati, mi sono reso conto di quello che stava accadendo, sentendo i colpi e vedendo dalla finestra le tegole della chiesa delle Monachette saltare in aria. Mi precipitai insieme ad altri miei colleghi nelle cantine sottostanti il palazzo, di lì sentivo gli scoppi delle bombe che cadevano sulla città. I pochi minuti del bombardamento mi sembrarono ore interminabili, poi silenzio assoluto. Ritornai all’aperto nella piazza; dalla Piaggia della torre e dalla via che sale dal Duomo, veniva verso di me una nube densa di polvere, tanto che alcune persone correvano in preda al panico e non era possibile riconoscerli, tanto erano bianchi i loro vestiti e i loro volti. Ritornai in caserma, molti dei miei colleghi erano già pronti per intervenire nei posti colpiti. Anche io indossai l’equipaggiamento che consisteva in: un elmetto, una maschera antigas, un’ascia. Altri con scale, badili e picconi, correvano divisi in gruppi in diversi punti della città per soccorrere eventuali feriti. Al mio gruppo, toccò intervenire in Via della Nana; la zona della città dove più alto è stato il numero delle vittime e dei feriti. Si lavorò tutto il giorno e la notte finché fu possibile sentire un lamento, un gemito. Fu salvata tanta gente, ma purtroppo per decine di persone non c’era più niente da fare. Furono trovate nello stesso giorno e nei giorni seguenti 38 cadaveri; intere famiglie distrutte. Agghiacciante era vedere alcune di quelle povere vittime ancora abbracciate nell’estremo tentativo di ripararsi a vicenda. Eccezionale fu l’opera dei soccorritori, oltre ai Vigili del Fuoco, agli addetti dell’Unpa (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), ai Vigili Urbani e alla Croce Rossa, anche il clero maceratese e i seminaristi svolsero un’opera preziosa, in occasione della tragedia che costò tante vite umane… È stata una giornata tremenda, orribile, il terrore si leggeva in faccia ai feriti; in me è rimasto il ricordo indelebile delle grida di dolore dei superstiti alla disperata ricerca dei loro cari fra le macerie delle case distrutte.
Quando arrivammo nei pressi del vicolo della Nana dove mio cognato Marinello abitava (anche lui era nell’UNPA), con un grido straziante dice: “Casa mia non c’è più! Mi hanno ammazzato tutti!!”. Veramente la casa di Marinello era sparita, le bombe avevano ucciso anche tante persone. Io, con gli altri e Marinello che ci incitava continuamente di fare presto, ci mettemmo proprio nel punto dove era la sua casa scavando e a momenti fermandoci per sentire qualche richiamo di aiuto. Sentiamo un grido di una bambina e di un giovane che urlava aiuto!! Marinello riconosce la voce della sua bambina e dell’altro che era il figlio del panettiere Tamburrini che proprio li aveva il forno. Togliendo con le mani nude le macerie pezzo dopo pezzo, riuscimmo a prendere la bambina e solo poco più tardi l’altro perché una bicicletta lo aveva incastrato ferendolo; portato in ospedale morì il giorno dopo. Marinello intanto si stringeva la figlioletta addosso e le domandava chi c’era con lei in casa: Solo nonna! Poi la bambina perse i sensi. Più tardi trovammo la nonna e con essa tanti altri tutti morti. Mio fratello e la moglie si salvarono, uno perché era andato a lavorare e l’altra era fuori per la spesa».

ALESSANDRO LORENZETTI
contadino vicino alle “Casermette” di Via Roma racconta: «Il giorno 8 settembre del 1943, i militari scappano dalle Casermette e molti si rifugiano in montagna. I fascisti nei primi giorni del 1944 fecero il rastrellamento dei giovani della classe 1924, così pian piano riempirono le Casermette. Il bombardamento del 3 Aprile fu vero macello specie con il mitragliamento; vi furono una quindicina di morti e tanti feriti. Ma la fortuna fu che di bombe dentro la caserma ne caddero solo quattro. Io con i miei che stavamo lavorando nel campo, appena visti i caccia mitragliare, ci nascondemmo sotto una quercia secolare, da li potemmo vedere quello che accadeva. Dopo i caccia arrivarono i bombardieri da Sforzacosta e uno dei primi lanciò un segnale luminoso, subito dopo caddero le bombe mentre alcuni caccia continuavano a mitragliare, le schegge ci fischiavano vicine. Finito l’inferno scappai in strada; vedo una donna di mia conoscenza morta, vedo una sola gamba di un operaio dell’UNES oggi ENEL. Sono scappato via piangendo».

UN SACERDOTE
allora era seminarista liceale. «Ricordo ancora, come fosse adesso, che era il Lunedì Santo. Alle 9 e 5 minuti si udì il lugubre suono delle sirene d’allarme. Noi seminaristi in attesa di recarci in Duomo, fummo costretti a scendere nelle grotte del seminario che fungevano da rifugio antiaereo. Alle 9,15 il bombardamento. Per alcuni interminabili minuti si udirono degli aerei in picchiata, il sibilo delle bombe, i tonfi e gli scoppi ravvicinati, ci sembrava di vivere un sogno orribile. Avevamo infatti l’impressione di fare la fine dei topi. Quando finalmente gli aerei se ne furono andati, correndo con il cuore in gola, salimmo le scale del rifugio per accertarci di quanto poteva essere realmente accaduto: tutta la zona era avvolta ancora di polvere e detriti. Mi si chiuse il cuore. C’era gente che correva qua e là. Qualcuno piangeva. Di lì a poco avemmo notizia che la massiccia azione aerea aveva colpito edifici e vie cittadine provocando morti e feriti».

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