Classe Terza A – Scuola “Carlo Urbani” – Casette Verdini

Per il penultimo incontro sul tema Bullismo e Cyberbullismo l’Istituto Comprensivo “V. Monti” di Pollenza ha visto “scendere in campo” un giocatore della Juventus Under 23: Matteo Bucosse (Pollenza, 23 ottobre 2002).

Matteo è stato mio alunno alla scuola primaria “A. Frank” di Pollenza. Nel presentarlo ai miei alunni ho detto che lo ricordo come un bambino dagli occhi grandi, sempre sorridente, anche se la sua infanzia è stata segnata da un grave lutto familiare: la perdita del fratellino Marco.

Classe Terza B – Scuola “Carlo Urbani” – Casette Verdini

Matteo veniva sempre a scuola preparato e gioioso, volitivo e discreto. Sapevo del suo impegno nel calcio, ma non pensavo che ne avesse la corporatura. Matteo era ancora un bambino “cicciottello”, in attesa di sviluppo. Ma le sue caratteristiche, il carattere forte e determinato, l’intelligenza superiore alla media, erano emerse subito: la stoffa del campione c’era già; il fisico è venuto poi.

Matteo Bucosse in collegamento

Lo stesso Matteo, presentandosi in Dad con la maglietta della Juve, ha raccontato che alla scuola Primaria veniva bullizzato per il suo aspetto fisico, ma lui non aveva mai dato peso alle battute dei bulli: sorrideva ai compagni e mirava al sogno che aveva nel cuore: diventare campione. La passione per il calcio gliel’ha trasmessa suo padre, Fabio, anche lui giocatore.

Così, Matteo guardava “oltre” le meschinità di chi, per coprire il proprio disimpegno, cercava di demolirlo psicologicamente.

A 15 anni Matteo è stato chiamato a fare un provino dalla squadra del Perugia, ma, ahimè!, non era ancora cresciuto del tutto: bravo, ma “cicciottello”. Scartato.

Matteo Bucosse da piccolo

È stata questa la delusione da cui è nato un punto di forza di chi conosce il proprio valore: non lasciarsi abbattere.

Del resto, quando giocava con il Monte Milone Calcio, la squadra di Pollenza, il Mister Andreani, vedendolo buttarsi spavaldamente a terra, aveva intuito per primo la sua predisposizione a fare il portiere. Nel partecipare poi al Torneo delle Regioni, la passione divenne una scelta di professione: calciatore.

Certo, c’è stato da lavorare: «Senza sacrificio non si ottiene nulla!», dice Matteo.

Spogliatoio

Il suo impegno è stato premiato: nello stesso anno del rifiuto del Perugia, fu chiamato a giocare nella squadra del Tolentino: serie D. Lo scorso anno i dirigenti del Tolentino Calcio, lo chiamarono in disparte per dirgli a bruciapelo: «Ti vuole la Juventus!».

L’emozione è stata fortissima. Si realizzava il sogno: fare il calciatore di professione!

Ora, da professionista, Matteo deve impegnarsi di più: disciplina del Convitto, allenamenti e studio ogni giorno.

Matteo è entrato subito in argomento, tramite un PowerPoint da lui stesso realizzato:

il bullismo va combattuto con il sorriso: il ragazzo che deride, tortura il compagno, è un ragazzo con problemi: va aiutato, non va escluso. Il ragazzo poi, che è sotto attacco, deve confidarsi con i familiari, come faceva lui, raccontando al papà Fabio, alla mamma Sabrina e alla nonna le sue vicissitudini.

Sono queste le persone che nella vita ti aiutano a superare gli ostacoli, ti difendono da chi ti sbatterà le porte in faccia, ti metterà i bastoni tra le ruote. I familiari e i veri amici staranno sempre al tuo fianco, ti sosterranno in ogni prova della vita.

Matteo Bucosse adesso (foto M.Pasqualicchio)

Un altro valido rimedio per superare le difficoltà è quello di credere in sé stessi, nelle proprie capacità e … sorridere. Secondo Matteo il sorriso è un’arma di difesa.

«E allora, qual è la definizione del bullo?», ha chiesto Matteo ai bambini.

Uno che prende in giro, fa cattiverie, umilia altre persone, offende, insulta, picchia, non ha rispetto per gli altri, usa la violenza e non il dialogo, hanno suggerito i bambini.

Il bullo pensa solo a sé stesso; ma non si accorge che, escludendo la vittima dal gruppo, fa il vuoto intorno a sé stesso. «Sì, ha detto Matteo, il bullo è una persona che, per sentirsi forte, ha bisogno di attaccare chi è più debole di lui. E lo fa fisicamente, verbalmente, sempre vigliaccamente. D’altra parte, se uno ti dice: “Schiappa”, non te la prendere troppo, fai un sorriso e tira avanti. Se la cosa diventa intollerante, parlane con i genitori».

Matteo ha raccontato che le vessazioni subite dai bulli lo hanno rafforzato, gli hanno insegnato a combattere e a vincere con il sorriso! Ed ora, cresciuto, è anche felice di incontrare quelle persone che da piccolo lo hanno ferito, ma lo hanno reso anche più forte, più combattivo.

È intervenuto un bambino di Terza Elementare: «Io sono stato bullizzato sui social». Ma si è subito inserita la Maestra: «Ma tu, come ci stai sui social? È troppo presto per la tua età».

E già, ora nell’epoca dei social il bullismo si è trasformato in Cyberbullismo, quindi le vittime sono più facili da attaccare, in quanto i bulli non si muovono da casa, si nascondono, non danno una faccia alla loro vigliaccheria. Senza dire del tempo che si spreca sui social; e della perdita di contatto con le persone e con la realtà.

Con ciò non demonizziamo i social; in questo tempo di pandemia, ad esempio, ci hanno permesso di continuare la vita della scuola, di conoscere le notizie e le direttive del Governo.

Matteo ha confidato di avere un profilo su Instagram; lo usa per tenersi in contatto con gli amici: ma non ama mettere foto o notizie sue personali. Dobbiamo tenerci alla privacy, ha detto. Va bene iscriversi a giochi online, o pubblicare foto, ma è necessario dirlo prima ai genitori o ad un familiare di fiducia. Infatti i giochi online sono pieni di rischi: basta una semplice parola fuori posto, e si può esser fraintesi e derisi, si può far del male a qualcuno.

Un bambino ha chiesto: «C’è bullismo tra i professionisti?». Matteo ha raccontato di aver udito che nella squadra ci sono a volte problemi di nonnismo, ma lui non li ha mai subiti.

Un altro bambino ha chiesto: «Come si trova ora con i nuovi compagni di squadra?».

Matteo ha risposto che si trova bene. Nel Convitto della Juve ci sono tanti giovani: hanno gli stessi problemi, le stesse domande; si ritrovano insieme ai pasti, condividono la stessa quotidianità: dalle ore 8,30 alle 13 a scuola: frequenta il quinto anno del Liceo Scientifico Sportivo della Juve; al pomeriggio, due ore di allenamento; dopo le 18, studio. Insomma si sta insieme, ci si vuol bene, ci si lega. Ma in ogni situazione bisogna fare una cernita nelle amicizie: amici, pochi e buoni.

Un bambino simpaticamente gli ha domandato se ha voglia di studiare. Matteo gli ha risposto che la voglia cerca di trovarla, perché frequenta il quinto anno: c’è l’esame di maturità, c’è poi l’Università…

Quanto studio! «E cosa ti ha insegnato lo sport?», ha chiesto un ragazzo. «Mi ha insegnato la correttezza ed il sacrificio, che ripaga sempre; mi ha insegnato a stare in gruppo, a relazionarmi con gli altri, a costruire qualcosa di importante con le persone che hai vicino, a costruire l’unità, ad avere obiettivi di squadra».

E gli ha anche insegnato che lo sport non è tutto. Vicino al Collegio c’è una chiesa; Matteo sa che alle 18 c’è la preghiera; quando può, vi partecipa.

E c’è anche la musica. A lui piacciono tutti i generi musicali: prima della partita ascolta il rock: lo aiuta a caricarsi; in viaggio preferisce il Pop. Certo, sarebbe bella anche la vita notturna, la discoteca. Ma l’obiettivo è il calcio: bisogna saper fare dei sacrifici.

Grazie Matteo, grazie a nome di tutti i bambini quarte e quinte di Pollenza, delle classi terze e della quarta B di Casette Verdini della dirigente dell’Istituto Catia Scattolini e a nome degli insegnanti: Daniela Lepri, Luca Fimiani, Mariangela Lanzi, Franca Monti, che tifano per te.

La tua aff.ma Maestra

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