Questo mese di maggio dedicato alla preghiera mariana si sta caratterizzando in diocesi come tempo di riflessione sulla santità per due notizie importanti. Il 9 maggio con l’apertura diocesana della Causa di Beatificazione di fra Mario Gentili e la fine di aprile con la notizia che il Processo di Beatificazione di padre Matteo Ricci ha fatto un passo avanti, per l’unanime voto positivo sulle virtù eroiche da parte della specifica Commissione vaticana. Due cristiani del nostro territorio si avviano a essere beatificati: padre Matteo Ricci morto a Pechino nel 1610 e fra Mario Gentili morto a Tolentino nel 2006. Questo fa pensare: la santità è di tutte le epoche, si realizza in tutti i luoghi e nelle forme più diverse, dalla profondità teologica e culturale di un uomo giunto ai vertici della società cinese come padre Matteo, alla semplicità evangelica di fra Mario, un agostiniano con la licenza elementare, vissuto sempre all’ombra del Santuario di San Nicola nell’umile servizio ai fedeli e ai pellegrini. Questo contrasto aiuta a mettere in luce la maturazione ecclesiale nella comprensione della santità, che ha avuto uno scatto significativo con il Concilio. Santi “grandi”, come padre Matteo e santi “piccoli” come fra Mario ci sono sempre stati nel calendario cristiano, ma quello che la Lumen Gentium (39-42) ha messo in luce è che la santità “piccola”, i “santi della porta accanto”, come ama definirli papa Francesco, non si sono moltiplicati oggi per un “calo della qualità”, ma per una migliore comprensione di cosa significhi essere santi. Diceva papa Francesco in una udienza del novembre 2014 che «Un grande dono del Concilio Vaticano II è stato quello di aver recuperato una visione di Chiesa fondata sulla comunione, e di aver ricompreso anche il principio dell’autorità e della gerarchia in tale prospettiva. Questo ci ha aiutato a capire meglio che tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità». La santità è per tutti e se un santo lo si riconosce perché ha vissuto le virtù cristiane in maniera esemplare, non sono richiesti luoghi, tempi e modalità straordinarie.

Il magistero sulla santità dopo il Concilio mostra una straordinaria continuità da Paolo VI fino alla Esortazione apostolica di papa Francesco Gaudete et exsultate dedicata proprio a questo tema. San Giovanni Battista Montini è vissuto sempre in amicizia con i santi, quelli che ha studiato e quelli che ha direttamente conosciuto e quelli che ha proclamato durante il suo pontificato. Si devono a lui ben 83 santi. Con questa scelta, ampiamente sottolineata dal Concilio Vaticano II, san Paolo VI voleva proprio portare la Chiesa alla consapevolezza dell’universale vocazione di ogni battezzato alla santità. Un recente studio delle sue omelie per le feste dei Santi e le Beatificazioni, mostra come intendesse fin dagli inizi del suo ministero la santità in maniera nuova. Leggeva le loro vite notando come questi cristiani-modello non avessero per nulla cercato l’eccezionalità. Il suo racconto della santità, innovativo rispetto agli agiografi del passato, voleva differenziarsi perché, come diceva il vescovo Montini già nel novembre 1957, i narratori delle vite dei santi accentuavano troppo «gli aspetti singolari e miracolosi nella vita dei santi, e ne tessevano la storia con narrazioni piene di fatti, leggendari spesso, prodigiosi e stupefacenti. (…) Il mondo dei santi era descritto come un mondo di meraviglie. (…) Questo è vero perché la vita di un cristiano che veramente sia animato dalla fede e dalla grazia, non può non essere meravigliosa». Ma la meraviglia non è nell’eccezione o nello straordinario, insegnava monsignor Montini, ma nel Vangelo stesso. Dirà poi da pontefice: «La vocazione alla santità è per tutti, anzi è possibile a tutti. E la Chiesa non si è stancata di ripetere questo invito nel corso dei secoli, e ancora l’ha ribadito fermamente a noi. La vita cristiana deve e può essere vissuta in santità». In piena sintonia ha agito san Giovanni Paolo II che nel corso del suo lungo pontificato ha proclamato ben 482 santi, quando dalla fine del 1500 la Chiesa ne aveva elevati agli onori degli altari in tutto circa 800.

Lo stesso papa Benedetto XVI in meno di 8 anni ne ha proclamati ben 45. Non deve stupire perciò la continuità con cui papa Francesco dice che: «Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati a essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno».

Sempre san Paolo VI, già negli anni 40, proponeva un “manuale della santità quotidiana” come vita in amicizia con Dio, scrivendo alcune meditazioni per fare della propria esistenza una vita di sequela di Gesù, dentro le vicende e le sfide del tempo. Secondo la sua limpida visione la via della santità è tracciata: dalla scoperta della vocazione che Dio ci dà, dal mettere in ordine la propria vita secondo le giuste priorità indicate dei valori evangelici, da un intenso e fedele impegno nella preghiera e nell’ascolto della parola di Dio, cercando di essere pienamente se stessi nella relazione con la propria storia, con gli altri e con Dio. Una sintesi che il Suo “devoto alunno”, papa Francesco, sviluppa nella bella Esortazione apostolica di tre anni fa Gaudete et exultate che merita di essere riletta in questo mese.

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