page1-img-3Paolo Scapellato*

Il primo approccio con l’alcol il giovane ce l’ha in famiglia, dove però viene gestito e monitorato da figure adulte. Tuttavia, è proprio quando si distacca dalle abitudini familiari per accostarsi a quelle dei coetanei che avviene il primo vero e proprio contatto, moderato solamente dal libero arbitrio personale e del gruppo che, nella quasi totalità dei casi, risulta ancora non maturo. È qui che l’assunzione di alcolici diviene uno strumento volto alla socializzazione, un mezzo per identificarsi con gli altri membri del proprio gruppo. Anche i luoghi di ritrovo per le comitive hanno subito delle modifiche: la piazzetta lascia il posto al pub, il parco al bar o ai locali notturni, la nuova tendenza all’aperitivo o alla cena fuori casa. Modifiche che, per quanto naturali nel corso dell’evoluzione sociologica, hanno aperto la strada a una più frequente assunzione. Il sogno del divertimento “disinibito”, privo di freni, ha ricollocato l’alcol al suo ruolo più antico, ovvero quello di elevare lo spirito alla leggerezza, svuotare la mente per riuscire a divincolarsi dalle catene delle convenzioni sociali che opprimono le singole personalità.

È consuetudine definire questo tipo di assunzione come «bere sociale»

tale modello può comportare ubriacature occasionali, ma non desta elevata preoccupazione a chi circonda il soggetto, poiché, anche se l’ubriacatura capita, essa avviene solo in condizioni particolari e specifiche, come feste o gite scolastiche per i più giovani. Quest’ultimi sono immersi in una cultura del “godimento”, dove viene promosso il principio edonistico della libertà individuale sempre e comunque, cultura che piace molto all’adolescente, intento a trovare “in piena libertà” la sua identità adulta. Così, è normale divertirsi adesso senza pensare alle conseguenze future. Tra gli esiti positivi riportati dai ragazzi, emerge come essi individuino nell’alcol una funzione prettamente socializzante («giusto alle feste… per essere più simpatico»), curativa («è utile a dimenticare qualcuno») e di disinibizione comportamentale («permette di sentire tutta la carica di energia»). Purtroppo, però, l’adolescenza è anche il periodo dei grandi dubbi, delle crisi esistenziali, delle ribellioni e delle prime sofferenze relazionali e, per molti, l’autocura attraverso alcol e altre sostanze diviene una necessità. Tant’è che, nell’ambito dell’alcolismo,

una delle tendenze più in voga, nelle diverse fasce di età della popolazione, è il cosiddetto binge drinking

una normale persona si permette piccole concessioni di bevande contenenti del tasso alcolico, come ad esempio il classico bicchiere di vino a tavola la sera; al contrario, chi pratica il binge drinking è in grado di non usufruirne in nessun modo per lunghi periodi, finché non decide una sera di «abbuffarsi di alcol». Nel giro di due tre ore, quindi, il soggetto in questione mira all’ubriacatura immediata, alla perdita di controllo da raggiungere nel minor tempo possibile. Questo fenomeno espone maggiormente i giovani alla dipendenza e, se consideriamo i tempi sempre più precoci dell’adolescenza, questo rischio aumenta a dismisura, dato che i ragazzi entrano in contatto con queste abitudini sempre più precocemente. Dal bere sociale e dalla forma più perversa del binge drinking, si arriva piano piano al bere solitario, segnale inconfutabile dell’arrivo della dipendenza (come succede con gli spinelli: si inizia in gruppo e si finisce con il fumarseli da soli, in camera).

*Psicoterapeuta

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