Il 9 aprile scorso, con grande partecipazione di pubblico, è stato presentato a Tolentino presso la Sala “Mari” di Palazzo Sangallo il volume Dal Chienti al Piave: Tolentino e la Grande Guerra. 1914-1921, scritto dallo storico Enzo Calcaterra, (leggi qui l’articolo). La pubblicazione appena uscita – evento editoriale promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Tolentino che ha commemorato degnamente il Centenario della Grande Guerra – ricostruisce avvenimenti legati ad uno dei momenti cruciali della storia del Novecento, in cui la stessa Tolentino svolse un ruolo di primo piano. Ne abbiamo voluto parlare con l’Autore per i nostri lettori.

Anche questo suo ultimo libro: “Dal Chienti al Piave” tratta di una storia fatta di storie di uomini e donne, storie di volti e di popolo, che lottano e pagano di persona fino a morire per la liberazione dell’Italia. Va a completare una trilogia con altri due libri da lei scritti e curati, come “a Carte Riscoperte: Tolentino e il Risorgimento, 1817-1870″ e “L’età del ferro: Tolentino 1919-1944″.
C’è un nesso tra queste opere, un filo conduttore che attraversa questa trilogia?
Non saprei dire se intenzionale, ma almeno un criterio guida può essere rintracciato. Le tre opere citate, pur essendo state concepite e pubblicate in momenti diversi, coprono un arco storico di “lunga durata” che procede ininterrotto dal 1817 al 1944. Quanto al soggetto che le collega, viene implicitamente enunciato nella prima parte della domanda. Il mio interesse per le cosiddette “classi subalterne”, che più da vicino sperimentano la Storia (anche se questa spesso viene raccontata da quelle dominanti), individua nelle loro vicende l’elemento di verifica dei grandi eventi, una sorta di lente di ingrandimento utile alla comprensione di fenomeni più complessi.

Che rapporto c’è tra la Tolentino operaia, storicamente conosciuta in più occasioni come “città industre” e produttiva, e la Tolentino alla guerra?
I fattori su cui si era costituita la “città industre” (così venne definita nel 1914 da voci autorevoli quanto obiettive), le cui potenzialità erano già in nuce nella fase risorgimentale, trovarono condizioni favorevoli per svilupparsi sempre più rapidamente, soprattutto nel cinquantennio post-unitario. Le capacità imprenditoriali e organizzative, i princìpi non astratti della solidarietà e dell’emancipazione sociale, le spinte al progresso e alla modernizzazione, avevano raggiunto notevoli risultati già allo scoppio della Grande Guerra. Tolentino portò in essa virtù consolidate in tempo di pace, dando il meglio e il massimo di sé nel primo, totale, tragico conflitto dell’età contemporanea. Nelle retrovie come al fronte, i tolentinati spesero questo patrimonio morale, ideale, sociale, economico, senza risparmio. Con dignità, coraggio, sacrificio, coesione generosa, eroismo.

In che senso “Dal Chienti al Piave” è da considerare «una pagina di storia nazionale riassunta in quella di una città»? Ci sono differenze e affinità tra una storia e l’altra?
Il percorso di Tolentino, dalla vigilia della Grande Guerra agli anni immediatamente successivi, si presenta spesso in parallelo a quello nazionale. Non di rado vi si sovrappone in modo sorprendente, a volte addirittura lo anticipa con lungimiranza. Questa caratteristica, vera costante della sua storia, è presente anche nel corso dell’esperienza di cui parliamo. Per tale motivo, le vicende di una piccola ma vitale realtà cittadina, simile a moltissime del nostro Paese, non presentano minore interesse rispetto a quelle di altre più note, celebri, celebrate e studiate dagli storici.

Quale esempio trarre dalla testimonianza di molti giovani già uomini, per lo più contadini e operai pacifici e laboriosi, costretti dalle circostanze a farsi soldati e ad andare alla guerra pagando col sangue la nostra libertà? Quale messaggio lasciano a questa nostra generazione che ha perso il senso della patria, l’etica del sacrificio e della responsabilità perché presa e confusa in altro tempo?
I nostri soldati, in comune con quelli delle altre regioni d’Italia, ebbero come riferimenti etici l’educazione all’obbedienza, al rispetto delle autorità e dei poteri costituiti, il senso del sacrificio, della lealtà, del dovere, inculcati per generazioni. Andarono in guerra con questa mentalità e perché in gran parte costretti dalle circostanze. Almeno fino a Caporetto. La loro sembra una lezione di vita (più precisamente, un esempio) distante anni luce dal nostro tempo. Eppure credo che proprio questa differenza così vistosa possa rappresentare una salutare provocazione, una sferzata alla nostra pigrizia di posteri, alla rassegnazione dominante, alla diffusa tendenza a sottrarsi alle proprie responsabilità per chiudersi nel proprio particulare quotidiano, in una fittizia quanto mistificante privacy.

Lei si dedica da molti anni alla ricerca storica con grande competenza, fatica, passione e rigore. Lo fa per sé – visto che è stato pure detto che «ogni autore narra in fin dei conti sempre sé stesso» – oppure per un tributo alla memoria, per amor di patria o per qualche altro motivo?
Difficile rispondere, o almeno trovare tutte le risposte in poche parole. Forse per tutti questi motivi insieme, e altri che dovrei cercare in me stesso. Dirò più semplicemente che esplorare storie di ieri per capire e decifrare meglio il mio e nostro presente, misurarlo nel giusto valore, mi spinge al tempo stesso a condividere queste scoperte, a farmi più o meno inconsciamente portavoce di chi, nel passato come oggi, per i più diversi motivi, non ha voce per raccontarsi.

La storia trasmessa con questa passione, che mette più in luce i disastri della guerra, il sacrificio, il dolore e la quotidianità di persone e famiglie, potrebbe essere più vicina ai sentimenti dei giovani?
Le mie ricerche mi hanno confermato nella convinzione che soprattutto i giovani chiedano alla storiografia di chinarsi sulla Storia con mente, cuore, emozioni, in ascolto di un’umanità “dalla parte delle radici”. Solo così anche il nostro tempo ci verrà restituito nel modo più autentico, vitale e consapevole.

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