Dall’ultimo Rapporto nazionale dell’Istat presentato il 17 maggio 2017 emerge un quadro del nostro Paese ancora una volta poco confortante. Siamo di fronte a una società bloccata, fortemente frammentata, nettamente divisa al proprio interno, ulteriormente impoverita.

Il presidente dell’Istat Giorgio Allevi ha sintetizzato così il Rapporto 2017, quest’anno attento al tema della famiglia e delle disuguaglianze sociali: «In assenza di mobilità sociale, la frammentazione si è cristallizzata e le disuguaglianze sono aumentate».

Tre sono i temi in evidenza all’interno del Rapporto.
Innanzitutto la realtà di un Paese che non ha mobilità sociale, per cui il destino dei giovani è fortemente condizionato dalla loro origine sociale: emergono i figli dell’élite economica e culturale; saranno loro la futura classe dirigente, mentre i figli degli operai continueranno a fare gli operai. Insomma l’Italia è un Paese in cui l’ascensore sociale non funziona più.

In secondo luogo, non solo resta drammaticamente alto il tasso di disoccupazione, ma pure il lavoro non garantisce più la sicurezza economica anche a chi ce l’ha; diminuiscono i giovani che non lavorano e non cercano il lavoro (Neet), ma il loro numero resta il più alto d’Europa; diminuiscono i contratti a tempo indeterminato, mentre tornano ad aumentare i contratti a termine, con la precarietà che li contraddistingue. In questa realtà, come si legge nel Rapporto dell’Istat, non solo sparisce la classe operaia, ma tendono a sparire anche i ceti medi. La polarizzazione sociale che ne consegue ha effetti pesantemente negativi sui consumi e sull’economia del Paese.

Infine il nodo famiglie-povertà. Cresce il numero delle famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta e di quelle che rischiano di cadere nella povertà; sono le famiglie non solo degli immigrati e di chi è senza lavoro, ma anche quelle con lavori sottopagati, con molti figli o con disabili o con anziani e malati in casa.

Ecco alcuni dei dati fra i più significativi contenuti nel Rapporto 2017 dell’Istat:
Povertà: l’indicatore di grave deprivazione materiale passa dall’11,5 del 2015 all’11,9 del 2016. Alla fine del 2016 sotto la soglia della povertà assoluta vi erano in Italia 1 milione e mezzo di famiglie, cioè 4 milioni e mezzo di persone.

Giovani: nel 2016 il 68% dei giovani fino a 34 anni vive ancora con i genitori. Intanto ogni anno più di centomila giovani italiani lasciano il nostro Paese per andare a lavorare all’estero.

Famiglie: Sono più di tre milioni le famiglie che non hanno redditi da lavoro e che campano grazie a rendite diverse o grazie agli aiuti sociali; le famiglie a rischio di povertà ed esclusione sociale sono diventate il 28,7% della popolazione.

Saldo demografico: anche nel 2016, come nel 2015 il saldo demografico è stato negativo, cioè i morti hanno superato i nati di oltre centomila unità. Se non cambia questo andamento, sostenendo le famiglie con politiche adeguate, la popolazione italiana è destinata a ridursi e a diventare sempre più vecchia, ma questo vuol dire che per l’Italia non c’è futuro.

In un quadro di questo tipo, l’obiettivo principale di una seria politica economica non può che essere la crescita dell’occupazione. Si tratta di avviare una politica di investimenti e di incentivi, sostenendo le imprese che creano lavoro e in particolare quelle che creano lavoro stabile. Se si vuole ridurre le disuguaglianze e la polarizzazione sociale occorre poi intervenire correggendo i meccanismi redistributivi: lo si può fare come sempre si è fatto negli ultimi due secoli, cioè utilizzando la leva fiscale e facendo pagare più tasse a chi ha di più. Infine dobbiamo capire che i problemi non sono mai solo economici: ai fini dello sviluppo servono anche più istruzione, più formazione, più innovazione, mentre ai fini della mobilità e della coesione sociale servono più educazione, più strumenti critici, più reti di relazioni, più catene di solidarietà.

(Marco Moroni è Responsabile del Centro Studi Acli Marche)

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