Pubblichiamo, in forma estesa, il testo di monsignor Nazzareno Marconi che ha accompagnato la proiezione del video nel corso dell’evento «Da Burri a Giobbe», promosso ieri, giovedì 14 aprile, all’Accademia di Belle Arti di Macerata.

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Un momento dell’intenso pomeriggio nell’auditorium dell’Abamc

Il Guggenhaim Museum ha fatto, nei mesi scorsi, la prima retrospettiva su Alberto Burri da circa quarant’anni che spazia dagli inizi alla morte lungo un percorso cronologico, presentando tutte le sue serie principali. Burri è stato un artista che ha lavorato con molti materiali ed ha inventato nuovi modi di realizzare opere pittoriche e sculture. Ciò che differenzia Burri dai suoi contemporanei è che non ha fatto un percorso di formazione convenzionale dal figurativo all’informale, ma ha iniziato subito a produrre ed esporre opere astratte. Egli ha certo avuto intensi contatti con il mondo della pittura astratta del Dopoguerra, in Italia e Francia.

L’artista ha un rapporto inteso e diretto con la produzione delle sue opere, interviene sui sacchi con tagli e cuciture come un chirurgo sulla materia viva: forse la sua precedente professione medica come medico di guerra ha segnato questa manualità.

Il suo rapporto con la pittura denota anche un rapporto con il dramma storico che ha vissuto sia nella guerra, che nella prigionia e nel Dopoguerra.

BURRI (1)5Fascista volontario in Etiopia, poi in Jugoslavia ed in Nord Africa, Burri lavora come medico militare: nel 1943 viene catturato in Tunisia e preso dagli inglesi, lavora come medico tra i prigionieri, quindi finisce in un campo prigionieri in Texas, vicino ad Amarillo. Alberto Burri ha dunque vissuto, come dottore, tutto il dramma dei feriti e dei prigionieri. Si è sentito tradito dal Fascismo ed anche dal re. Comincia a dipingere nel campo di prigionia. Si rende conto che tutto ciò in cui aveva creduto, dalla guerra e dalla prigionia, è stato ridotto in cenere: così, gli resta solo la pittura come via di fuga. 

Ha iniziato a lavorare con materiali vissuti come le pezze di lino nei suoi “bianchi” o la juta nei suoi sacchi. Negli anni Cinquanta, inizia a produrre opere con materiali primari, che danneggia o brucia con le combustioni, creando dunque elaborazioni di suggestivo chiaroscuro. In questo momento storico, si confronta con la ricostruzione dell’Italia. Molti dei materiali che brucia e rielabora sono quelli centrali per la elaborazione industriale di quel periodo, come i legnami piani, gli imballaggi tipici dell’industria delle costruzioni o le plastiche con le quali giunge ad elaborare una trasformazione in elementi fantastici. Con le sue plastiche incolori crea delle composizioni nelle quali si può vedere attraverso l’opera aprendo spazi di visione ed introspezione significativi.

Con la sua serie sui “ferri”, inoltre, Alberto Burri utilizza egualmente il fuoco, soprattutto attraverso le saldature. Anche questi materiali vengono delle fabbriche ed egli li elabora, tagliando e cucendo come faceva con i sacchi. Crea delle composizioni che ridefiniscono, di nuovo, la modalità della pittura. Burri, poi, non esce mai dalla cornice del quadro e ribadisce così la sua relazione con la pittura. Pur mantenendosi pittore, compone dei quadri usando materiali diversi dai classici colori ad olio.

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Una delle opere dell’artista nato a Città di Castello

Chi osserva un quadro di Alberto Burri entra in una atmosfera di emozione, e vuol comprendere e toccare l’opera che emana energia comunicativa.

Inoltre Burri, nel periodo post bellico, crea un nuovo realismo materico, che si concreta sui fatti, sui materiali e le loro proprietà, elaborando così una pittura astratta che valorizza questa materialità e concretezza e forza espressiva. Con i catrami, ad esempio, usa materiali da pittura non convenzionali o usa i materiali convenzionali come i colori acrilici ma in maniera non convenzionale, come per lo sfondo rosso o nero dei sacchi o come il colore bianco dei cretti o il nero dei cellotex.

Con i “gobbi” esplora una terza dimensione, ponendo un’armatura dietro la tela che forza la dimensione piana e la fa emergere, andando oltre la pittura e verso la scultura. Con l’uso del vinavil passa a un altro prodotto industriale, che non diventa semplicemente un collante, ma un materiale consistente con cui plasmare forme che legano i materiali ed emergono di per se stesse. Nei sacchi, che usa come una specie di pelle umana (tessuto che sutura sopra una base rossa come il sangue), sembra quasi a costruire dei corpi vivi.

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Resta comunque pittura con composizione di linee e colori secondo una armonia che cerca un senso ed una forma. Con il passaggio alle plastiche è come se si passasse alla costruzione di corpi alieni, sono materie nuove, non vissute: l’elaborazione non è più suturare tessuti o azioni di bisturi, ma creazione di nuovi corpi. Fino alle plastiche trasparenti, in cui il corpo è diafano e ci si guarda attraverso.

L’ultima serie di Burri contempla i cretti ed i cellotex, mostrando un suo dialogo con il minimalismo americano. C’è un rapporto con il deserto che ha modo di conoscere a Los Angeles, ma anche con le pitture classiche danneggiate come la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca.

Con i cretti ed i cellotex, infine, Alberto Burri riduce la composizione e semplifica la tecnica andando verso “il silenzio”.

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