In questi ultimi giorni, il tema dell’amministrazione della Giustizia ha riconquistato il dibattito pubblico. L’elezione a presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) del dottor Piercamillo Davigo (indimenticato membro del pool “mani pulite”) e le sue prime dichiarazioni hanno provocato reazioni per lo più non favorevoli. Poiché compito di un giornale è dare informazioni sui fatti e non sulle dichiarazioni, le tralascio per arrivare al nocciolo.

Antonio Saladino, uno dei principali imputati nella inchiesta giudiziaria nota come “Why Not” del giudice Luigi De Magistris, attuale sindaco di Napoli, è stato assolto perché «il fatto non sussiste». Si tratta di una vicenda che ha impegnato la vita di quell’uomo per sette anni. Sette anni fatti di attività professionali distrutte, di notti insonni e di solitudine. Ma chi era Saladino? Una cosa che non troverete in rete è che si tratta solo uno dei professionisti e imprenditori che nel Sud, e specialmente in Calabria, si organizzarono con imprenditori e professionisti del Nord per aumentare il lavoro in zone dove la disoccupazione è alle stelle. Questa rete di rapporti si chiama “Compagnia delle Opere” e molti degli aderenti fanno parte di Comunione e Liberazione.

Saladino era un veterinario diventato dirigente nella Regione Calabria. Raggiunta questa posizione si licenziò (mai vista da quelle parti una scelta di quel tipo) per seguire meglio queste nuove realtà imprenditoriali. La prima fu la produzione di caramelle con l’impresa Silagum, azienda che ancora esiste e che è una delle rare eccellenze in Calabria. Dopo venne realizzata la cooperativa “Obiettivo Lavoro”, un’impresa di lavoro interinale. Per quanto mi riguarda ho sempre considerato la legislazione nazionale e regionale che dava soldi e incentivi un errore e non mi meraviglierebbe se in qualche caso le regole siano state forzate pur di mettere in piedi nuove iniziative e dar lavoro a giovani. Tuttavia, ho sempre trovato grottesco ravvisare a carico di Saladino accuse ridicole come quella del “complotto massonico” e un’altra carrellata di panzane.

Quale conseguenza traggo da tutta questa vicenda? Quale dirittura di vita propongo? Ogni volta che sento notizie su intercettazioni telefoniche, su iniziative della tal Procura della Repubblica cambio canale e salto totalmente la pagina del giornale che ne tratta. Mi rifiuto di far parte, anche solo indirettamente, al massacro delle persone. La magistratura è una organizzazione statuale che ha il compito di rendere giustizia e non quello di fomentare gli animi verso l’odio. Se i magistrati hanno prove delle accuse verso una persona, rapidamente facciano i processi, altrimenti non me ne frega nulla e non me ne deve fregare nulla. La maldicenza non è una virtù.

Non sussiste alcun diritto né dei magistrati, né di nessun altro a diffondere dubbi e incertezze, tanto più verso le Istituzioni. Il premio nobel della letteratura Solgenitsin (dissidente nella Unione Sovietica con vari anni di gulag alle spalle) in un famosissimo discorso tenuto all’università di Harvard disse che «esiste il diritto all’informazione, ma anche il diritto a non sapere e cioè il diritto a non avere la mente ingombrata di suggestioni e di stupidaggini». Tale suggerimento oggi è divenuto d’obbligo perché noi non ci possiamo più permettere il lusso di distruggere chi vuole lavorare, chi vuole investire, chi vuole vivere.

Ciò nonostante non esiste nessun “affare” sul quale non scoppi qualche scandalo, fino ad indurre gli italiani alla convinzione di vivere nel paese più corrotto del mondo. Immaginate di entrare in una stanza completamente ingombra di macerie e di rifiuti: avreste qualche remora a buttare una cartaccia per terra? No. Dare una immagine così disastrosa induce a nuova criminalità. Con questo non voglio affatto dire che siamo nella repubblica degli onesti, di ladri ce ne sono e sono pure tanti. Dico che la misura da prendere è l’uso della ragione e non l’isteria che finisce per mettere in croce persone innocenti, ammesso che sia lecito distruggere moralmente i colpevoli.

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