Sarà per via del tramonto ormai esausto, ma questo sabato sera che precede il Natale, osservato dal piazzale del piccolo supermercato di quartiere, sembra lontano anni luce dal tripudio di merci e luminarie che attirano falene a frotte. Lontano dai parchi commerciali intorno ai quali gravitano flussi caotici di vetture, acquirenti, transazioni virtuali. Qui non ci sono arterie a scorrimento veloce, ma una strada che passa tra le case dopo avere superato l’ufficio postale e l’ambulatorio medico. Nessuna ressa. I clienti entrano alla spicciolata. Ora è la volta di una coppia, forse marito e moglie. Le porte scorrevoli si aprono al loro passaggio: un gesto di accoglienza automatico, una carezza consueta alla quale non fanno più caso. Sostano davanti al bancone della frutta giusto il tempo per orientarsi, poi scompaiono nel labirinto delle merci in esposizione.

Secondo gli esperti, gli anni di crisi hanno modificato in maniera irreversibile i consumi delle famiglie italiane. La necessità di risparmiare ha suggerito una strategia di diversificazione degli intermediari cui rivolgersi: outlet, discount, e soprattutto operatori di e-commerce.

Certo, le merci vivono in un cono d’ombra. Sono frutto di ecosistemi che non conosciamo e che sembrano non riguardarci. Ma è proprio così? Non c’è forse un rapporto molto stretto tra il bene di consumo e il processo produttivo che lo ha generato? Tra le imprese e il territorio nel quale esse operano?

Una catena di distribuzione nazionale ha organizzato a Milano un Forum con rappresentanti di imprese, istituzioni pubbliche, associazioni del terzo settore che lavorano per la rinascita dei territori fiaccati dalla crisi. Una impresa – è stato questo l’assunto di partenza – riesce a produrre reddito in maniera direttamente proporzionale al livello di stabilità del tessuto sociale all’interno del quale essa opera. Di qui la necessità di considerare il valore della prossimità e delle relazioni umane come fattori critici di successo, al pari delle altre dimensioni strategiche del fare impresa, come la tecnologia, i flussi finanziari, il marketing. Può una impresa cooperativa sostenere politiche di inclusione? Può interessarsi di chi ha perso lavoro, è solo, o vive in condizioni economiche precarie?

Secondo il sociologo Aldo Bonomi, la rete commerciale deve e può stabilire relazioni virtuose con le altre reti sociali presenti su territorio, senza contare – precisa – che il supermercato è oggi uno dei pochi luoghi in cui si incontrano generazioni, ceti e generi differenti.

Un supermercato, dunque, ci salverà? Mentre cerco risposte, la coppia esce senza avere comprato nulla. Continuano a parlare, marito e moglie, gesticolando animatamente. Salgono in macchina proprio mentre si avvicina un anziano. È solo. Zoppica vistosamente, e prima di varcare la soglia del negozio si toglie il cappello, come se stesse per entrare in chiesa. Alla fine entro anche io. Mi dirigo al reparto dei vini. Acquisto una bottiglia di Lambrusco. E’ un vino biologico, recita l’etichetta: «Anche i piccoli insetti dei nostri vigneti sono un anello importante dell’ecosistema in cui coltiviamo». La spiegazione mi conforta, stasera potrò brindare sereno…

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