di Gionatan De Marco (*)

Carissimo Siniša,
lo so che questi giorni sono per te un affollamento quasi soffocante di parole e di messaggi, ma se prendo carta e penna per scriverti, non è certo per farti qualche bella predica sulla sofferenza umana, ma per cercare di tradurre in parole la tua Parola. Scrivo a te, ma per scrivere a me e a quanti vivono la quotidianità assorbiti dal da fare e ubriacati dall’inutile. “Sembra un incubo ma è la realtà. Non ho paura, io vincerò e diventerò un uomo migliore e più maturo”. Quello che hai detto nella tua conferenza stampa dell’altro giorno è molto più eloquente di qualunque altro discorso. È eloquente perché nasconde pensieri e scelte che occorre tradurre in parole, perché spesso pronunciate in silenzio. E il silenzio, oggi, non lo capiamo quasi più, è come arabo per chi è abituato a parlare… sempre e comunque, anche senza – a volte – dire niente.

Mister, grazie per le tue lacrime. Lo hai ammesso! Hai pianto! E da un uomo come te, spesso mostrato dalle telecamere come tutto d’un pezzo, forse molti non se lo sarebbero mai aspettato!

Eppure hai pianto… mostrandoci un Siniša vicino a noi, fragile… addirittura capace di lacrime! Non so a te, ma a me è sembrata una confessione bellissima dell’essere bisognoso, dell’aver sempre bisogno di una spalla su cui poggiarsi e con cui fare esperienza di abbandono che non si traduce in resa, ma in lotta!

Mister, ci stai insegnando il rispetto dell’avversario. Sì, ci hai detto che l’avversario non si odia, ma si rispetta… anche quando sembra molto più grande e più forte di noi, sapendo che ogni partita è aperta sempre ai colpi di scena. E se spesso l’avversario sembra un mostro imbattibile, ha sempre i suoi punti deboli, magari in difesa, da saper leggere e utilizzare per metterlo in difficoltà e magari farlo crollare e dimostrare ancora che anche la sua è collocazione provvisoria, perché ogni avversario è a tempo determinato, mentre la tua e la mia felicità è a corrente continua.

Mister, ci stai insegnando a dribblare la paura. Quella paura che spesso fa venire i crampi alla vita e lo stendersi sembra essere l’unica chance per poter restare in campo. Tu ci hai dimostrato che è possibile affrontarla e dribblarla con la palla delle possibilità al piede senza commettere il fallo dell’odio e senza subire il fallo della depressione… perché il pallone del domani possiamo scegliere di calciarlo a campanile o di giocarcelo a torello o di tirarlo con stizza in tribuna, ma se vogliamo arrivare in porta dobbiamo tenerlo al piede con gesti che raccontano equilibrio, determinazione e… benedizione!

Mister, ci stai insegnando il contropiede del coraggio. E qui non assistiamo alle scene che spesso si vedono in campo dove il coraggio ha le fattezze della sfacciataggine, ma – grazie a te – stiamo assistendo a quella scena a cui l’umanità chissà quante volte ha assistito sulle frequenze della nostra storia, anche se non sempre se ne ricorda i fatti e i volti. La scena di chi, preso l’integratore della compagnia, affronta l’avversario accelerando il passo, prendendolo di sorpresa, lanciandosi in un contropiede che spesso salva la partita… anche quella della vita.

Mister, ci stai spiegando la gioia di segnare. Quella porta non sembra lontana e la difesa non sembra più impenetrabile. I tuoi occhi vedono già il pallone dirigersi verso porta e le reti già gonfiarsi, pronte ad annunciare al pubblico delle grandi occasioni il gol della vittoria. Già… è vero, non hai ancora segnato, ma l’hai già sognato quel gol! E i sogni non sono favole, sono forza… quella che serve per non stendere la vita, ma rialzarla sempre… fino in cima, fino al punto in cui – anche se lo stadio non esplode – senti esploderti dentro la gioia di avercela fatta, dando il meglio di te!

Mister, non lasciare la panchina! Resta lì, al tuo posto! A disegnare schemi di gioco, ad urlare indicazioni per la vittoria, a fare i cambi giusti al momento giusto… perché si vince così! E chi sta in campo ha bisogno di allenatori come te, che con una scelta riaccendono la voglia di mettercela tutta, fino all’ultimo, come ti ha scritto il giovane Nicolò, che la tua tecnica l’ha capita tutta… a 14 anni, giocando la tua stessa partita! E te lo ha scritto: “Sto giocando la mia partita, che dura più di 90’, ma sono in vantaggio. Pensiamo insieme a portare a casa il risultato”.

E ai supplementari… tutto è possibile! Anche vincere! Speriamo di farlo insieme… diventando migliori!

(*) direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei

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