La gentilezza non gode di buona salute. Ci siamo talmente abituati al contesto livido dei social e al sapiente dosaggio di sorrisi e invettive di qualche politico, da considerare uno sprovveduto chi si ostina a coltivare atteggiamenti di bene- volenza nei confronti dei suoi simili. Quelli che viviamo sono tempi difficili, e ogni apertura di credito può sembrare un azzardo.

La gentilezza dunque è destinata a scomparire definitivamente dal nostro orizzonte? La filosofa statunitense Martha Nussbaum, nel suo ultimo saggio propone una prospettiva differente, in cui è proprio un pensiero accogliente e rispettoso a consentire di liberarci da quella “Monarchia della paura” – questo è il titolo del suo testo – che attanaglia i nostri giorni. Una emozione oscura e avvolgente, asociale, contagiosa, nata da problemi reali, nutrita da fantasmi e sfruttata da cattivi maestri. La paura comporta gravi problemi per la democrazia, perché le persone impaurite cercano protezione e giustificano derive autoritarie. E dalla paura nascono anche altre emozioni negative che contribuiscono ad alimentare un cortocircuito di colpevolizzazione e vendetta: chi avverte un peggioramento nel proprio tenore di vita, tende ad individuare i colpevoli nella categoria degli “altri”. Ecco quindi la rabbia, che può rivestire un ruolo positivo se alimenta una protesta per i torti subiti, ma diventa devastante quando tende a colpire gli avversari, a ricambiare offesa con offesa. Sorprendentemente anche il disgusto, la più irrazionale delle emozioni, gioca un ruolo importante nell’allontanare ogni diversità disturbante, emarginando i più vulnerabili, con la pretesa inconfessabile di evitare ogni contaminazione. E che dire infine dell’invidia, desiderio ostile e doloroso che trasforma gli altri in rivali pericolosi da annientare? (la storia dell’africano palestrato, con lo smartphone di ultima generazione, vi ricorda qualcosa?). Insomma un girone infernale, di cui facciamo quotidianamente esperienza.

Eppure – suggerisce l’autrice – un punto di fuga è possibile. In fondo paura e speranza sono molto più simili di quanto si possa pensare: entrambe nascono in un contesto di incertezza, in cui è in gioco qualcosa di importante e la situazione non è pienamente sotto controllo. Quello che le distingue è solo una differenza di accento, non la gravità del pericolo: la paura si concentra sul possibile esito negativo della crisi, mentre la speranza è proiettata verso un risultato positivo della stessa, e riesce ad attivare energie preziose. Basterebbe dunque uno switch, un giro di interruttore, per trasformare le reti di accusa in reti di solidarietà.

Nussbaum indica alcuni possibili ambiti per la promozione di una politica della speranza. Per quanto possa sembrare sorprendente, il primo ambito di impegno proposto è quello dell’esperienza artistica e poetica, per la sua capacità di immedesimarsi nell’altro in quanto persona, evitando la chiusura in se stessi dettata dalla paura. La diffusione di un pensiero critico, rispettoso delle opinioni altrui. L’appartenenza a gruppi e comunità religiose che diffondono speranza, purché si tratti – sottolineatura importante – di una speranza inclusiva e amorevole. I movimenti di protesta orientati alla riconciliazione (il riferimento è alle figure di Nelson Mandela e Martin Luther King). E, infine, un servizio civile obbligatorio rivolto ai giovani. Vasto programma, che ha bisogno di braccia forti e di profonda determinazione. Contrariamente alla convinzione comune, la gentilezza non riguarda i mollaccioni, ma i pochi che vogliono davvero viaggiare – per dirla con Fabrizio De André – in direzione ostinata e contraria.

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